A casa di Papas Bellusci: viaggio in una comunità arbëreshë del Pollino

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Frascineto è un paesino di collina, vicino a Castrovillari (Cosenza), a pochi passi dal Pollino. Da queste parti d’inverno non diresti certo di stare in Calabria. Neanche il paesaggio è così dissimile da alcune aree collinari e impervie dei balcani del sud. Le case hanno le scale esterne, come si usava una volta. Sui davanzali piante, corone d’aglio, salumi messi ad esiccare, telai in legno, attrezzi da fabbro.

Attraversando l’angusto centro storico, s’incontrano giovani in scooter che girano attorno ai bar, carcasse di macchine abbandonate accanto a Fiat 128 tenute in perfetto stato, trattori carichi di sterpaglie, anziani che passano il tempo sui gradini prospicenti le proprie abitazioni. È da poco iniziato il 2011. Insieme alla mia compagna di viaggio parcheggiamo la macchina, in una delle tante piazza Scanderbeg dell’Arbëria, l’insieme delle minoranze linguistiche albanesi riconosciute. In Italia se ne contano una cinquantina, 33 delle quali si trovano proprio qua, attorno al Pollino. Soprattutto gli anziani, parlano un dialetto che mescola albanese medievale e calabrese dell’alto Tirreno. Gli altri calabresi li chiamano curiosamente jejjari, ossia gheghi (gegë), uno dei due ceppi linguistici da cui deriva l’albanese. In realtà, si tratta di comunità venute dal sud dell’Albania, a cavallo fra il XIV ed il XV secolo, e che quindi parlano tosco (toskë). Non è raro, in altri paesini della zona, come Plataci, incontrare qualche anziano che guarda ancora la tv di stato albanese.


Scendendo dalla macchina, incrociamo il busto di Gjergj Kastrioti Skanderbeg (1405-1468), eroe nazionale, simbolo della liberazione dagli Ottomani. La distribuzione di simboli nazionalistici albanesi, in questi piccoli centri, è superiore a quella che si possa rinvenire in molti comuni della stessa Albania.

Anche la toponomastica esprime un bilinguismo più radicale di quanto non si possa ritrovare in Sud Tirolo. Entrando nella Chiesa Basilicale di San Pietro e Paolo, ci si trova davanti una architettura bizantina a tre navate, precedente all’arrivo degli albanesi (X sec.). Vicino all’altare, i miei occhi si posano su delle bellissime icone ortodosso-bizantine di notevole valore. Fra i banchi non c’è nessuno, tranne una signora anziana che legge il rosario. Sfodero la mia reflex, ma immediatamente la signora mi blocca. È stata incaricata da papàs Bellusci di fermare tutti i turisti prima che facciano foto. Qui dentro, infatti, hanno da poco derubato altre icone, e il sacerdote ha paura che le foto servano a far pubblicità delle icone sui mercati illegali d’antiquariato. Ci invita quindi a recarci alla casa del papàs, a un centinaio di metri dalla Chiesa e chiedere a lui eventuali permessi. Ne approfittiamo per visitare la Biblioteca Bellusci, un posto che qualcuno ci ha indicato come l’avamposto della cultura arbëreshë della zona.

Imbocchiamo un vicolo senza asfalto, stretto fra casette non intonacate a uno o due piani. La biblioteca è in realtà un appartamento a due piani, il primo abitato dal parroco con la sorella, il secondo da libri. Ci apre una signora sui 60 anni che da giovane ha fatto la soprano nei teatri di Tirana, e ci fa attendere al pian terreno. Quando padre Antonio, arriva, ci offre da bere un buonissimo liquore alla rosa, prodotto da lui stesso, in casa. Superati una serie di cerimoniali ai quali neanche io, da calabrese trapiantato a Padova, ero più abituato, ci restano soltanto venti minuti prima della celebrazione della messa cattolica. Bellusci è infatti sacerdote di rito sia cattolico che ortodosso bizantino ed è fiero di poter celebrare entrambe le funzioni nella stessa chiesa, a distanza di poche ore. Ci muoviamo in fretta, per visitare tutte le preziose pubblicazioni custodite al piano superiore. I libri sono divisi per aree geografiche: Ellade, Albania e Kosova, Italia Kovosva Albania e Grecia, Calabria e Basilicata, Arbëria Ossia.

La parte più eccezionale sono però le riviste. Provengono da tutta Europa, moltissime dall’ex Jugoslavia, ma soprattutto rappresentano uno degli archivi filologicamente più completi della produzione intellettuale albanese. Si passa dalla dialettologia, all’etnografia, alla letteratura. Moltissimo il materiale prodotto durante l’era Hoxha. E poi ci sono i libri di Bellusci stesso, teologo e antropologo. Un uomo che ha passato la sua gioventù andando in giro per l’Albania, la Kosova, l’Arbëria italiana e la Grecia, a raccogliere tradizioni orali, canti, cultura materiale contadina, delle popolazioni di origine albanese, con un occhio, lui dice, sempre attento ad una ecumenica integrazione fra cattolici, ortodossi e musulmani. Ci mostra, con orgoglio, una sua foto con papa Papa Wojtyla. La sua storia di vita, troppo lunga per essere condensata in questo post, sembra un po’ la sintesi biografica della complessità dei balcani. E così anche la sua biblioteca che ospita sovente studiosi di varia estrazione scientifica e nazionale.

Prima di mandarci via, la sorella di Bellusci mostra il telaio costruito come da tradizione albanese, sul quale lei tesse l’ordito al contrario, rispetto alle tradizioni italiane. Per congedarci, Antonio e la sorella ci offrono qualcosa da bere. Rifiutiamo “civilmente”, ma non funziona…i presenti ci stringono sotto braccio, e il saluto viene accompagnato da un canto albanese di commiato e da un ottimo liquore alla liquirizia.

Vincenzo Romania

Ti potrebbe interessare

Casa a Barcellona