Ad Antakya, tentando di entrare in Siria

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Giulio Petrocco, fotoreporter*, vecchia conoscenza di Anordestdiche ci invia questo contributo da Antakya, Turchia, al confine con la Siria

Ascolto mc solaar sedendo sul mio letto sfatto della fredda stanza del rinomatissimo hotel bahar di antakya. le finestre sono rigate di condensa, il comodino coperto di lattine di birra efes finite. intorno a me uno squallore da campo profughi hcr. ma non posso lamentarmi troppo: per sole 15 lire turche ho a disposizione una stanza con  tre letti – bagno e doccia fuori – 5 ore di riscaldamento al giorno e un posacenere. freddo umidita’ e sporcizia sono on the house.

ti avevo promesso qualcosa di meglio, ma ti giuro, avevano fatto lo stesso con me. cazzate che nemmeno in campagna elettorale. secondo il collega che mi ha chiesto di partecipare alla spedizione i suoi contatti sarebbero stati bravi abbastanza  da riuscire a portarci dentro e fuori la siria. ne era sicuro, ma essendo la sua prima guerra non voleva andare da solo. giustamente.

i suoi contatti si sono rivelati molto peggio del bahar hotel, dato che per lo meno il bahar offre qualcosa. i suoi contatti nulla, se non la possibilita’ di venire arrestati dalla polizia turca. ci hanno provato a portare dentro al campo profughi siriano di yayladagi in una giornata uggiosa. siamo arrivati dopo poco piu’ di un’ora di viaggio in minibus. lo zaino addosso pieno di ogni bendiddio, macchine fotografiche, portatile, bgan, satellitare, lenti e quei due stracci che uso per coprirmi. il minibus ci lascia davanti al campo, ma il nostro contatto ovviamente non e’ li. decidiamo di andare via prima che i birri ci chiedano qualcosa cui noi non sappiamo rispondere. inutile. pero’ per lo meno la domanda la capiamo. passaporti, prego. ci lasciano andare e decidiamo di aspettare il contatto in un caffe’ in citta’. tempi arabi. dopo 4 ore il tizio arriva e dice, non vi preoccupate, venite con me. ci riporta al campo.

veniamo rimbalzati peggio di berlusconi a una festa dell’unità e mentre ce ne andiamo tre ragazzi siriani passano e ci dicono qualcosa. capisco solo polis polis e il gesto di ammanettare. mah. 2 minuti dopo arriva la madama e ci caricano in macchina. nessuno parla inglese e i birri sono in borghese su una specie di fiat palio della polizia. quando ci fanno uscire siamo davanti al commissariato. la situazione non sembra grave, ho ancora il telefono in tasca. faccio tempo a chiamare a casa avvertendo di chiamare l’ambasciata nel caso in cui non abbiano mie notizie entro un paio di ore. rimaniamo ad aspettare fuori, su una panchina di legno. il poliziotto gesticola e fa capire che dentro nessuno parla inglese quindi aspettiamo fuori che arrivi qualcuno. dopo un po’ questo qualcuno arriva. l’unica parola che conosce in inglese e’ passport.

dopo mezzora al telefono con dio sa chi ci dice che dobbiamo levarci dai coglioni. quando saliamo sul trasporto sono passate 2 ore. ci fanno andare via pensando che siamo turisti curiosi. non aprono gli zaini grazie a dio. non essendo una duchessa di york il mio culo sarebbe stato in serio pericolo se le cose si fossero messe male. 20 anni. come treno di mezzanotte ma senza la piacevole aggiunta di quei kg di hasho che lo yankee aveva addosso..

resici conto che i contatti del collega funzionavano peggio di una piantagione di tabacco in zimbabwe il francese decide di andare via. sono di nuovo da solo e tutto sommato, se non fosse per la dissenteria che mi tormenta da due giorni, non starei nemmeno cosi male. sono riuscito a fare qualche ritratto di profughi siriani da questa parte del confine. saranno belle cose da stampare e da attaccare al muro. a nessuno frega un cazzo dei profughi a meno che i bambini non siano denutriti, con le mosche sugli occhi, a meno che non stiano bene in uno spot dell’unicef. non e’ il caso. questi sicuro non stanno al ritz, ma nemmeno pesano 20 kili bagnati.

ora aspetto che mi contattino alcuni colleghi che arrivano in zona, tra antakya e baghdad, per decidere che fare. mi diletto a sistemare vecchie carte, progetti pendenti, fare editing di foto che non avevo voglia di sistemare, inghiottire pastiglie come michael jackson, girare per la citta’.. ecco non che ne valga davvero la pena. antakya fa schifo. i dintorni non sono male, mi ricorda un po’ l’abruzzo, una terra dura, montagna, boschi, ma dall’altro lato la citta’ e’ un crimine contro l’umanita’. un posto grigio inutile nonostante secondo un informatissimo abitante della zona “antakya sia la citta’ piu’ antica del mondo”.

credo ci sia passata anche una crociata. devono avere portato via tutto cio’ che c’era di bello. sempre che ci fosse qualcosa.

ora so quanto tutto questo sia deludente, ma purtroppo il 90% di questo lavoro e’ fatto di fallimenti, e credo sia per questo che tanti mollano. tanti da quando ho cominciato hanno mollato. tanti altri molleranno. bene così, meno gente in mezzo ai coglioni.

Giulio Petrocco

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