Alterrative nell'Ecuador dei campesinos che tornano a lottare

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Cinque continenti, 22 paesi, 266 giorni per un giro del mondo dalle modalità un po’ alternative. Anzi, Alterrative: questo è il nome del progetto che sta portando Stefano Battain e Daniela Biocca a scoprire e toccare con mano organizzazioni impegnate nella difesa del diritto alla terra, dell’accesso alle risorse e dei diritti delle donne. Teto e Bobiù, come li chiamano gli amici, hanno già una loro storia da raccontare: si sono conosciuti da cooperanti, in Tanzania, e proprio da quelle latitudini è nato un amore sfociato poi in un matrimonio. Interessi comuni e tanta curiosità, voglia di toccare con mano realtà disparate e interessanti nel pianeta. Ecco quindi che nasce l’idea del loro giro del mondo. Settima tappa: l’Ecuador. Qui le tappe precedenti: GuatemalaChiapasTunisi, il Marocco, Spagna e Portogallo, la California di San Francisco e Città del Messico. Qui il sito del progetto.

La sera che arriviamo a Quito il nostro taxista ci dice che ci dovrà lasciare ad una quadra dal nostro ostello perché la strada è bloccata per via di una manifestazione contro le ultime leggi proposte dal governo sull’eredità e sui guadagni speculativi. Attraversando la città notiamo che le strade sono tappezzate da immagini del Santo Padre, nastri gialli e bianchi, striscioni di benvenuto per la visita di Papa Francesco. Una città in fermento per via di una situazione politica tesa dovuta alle ultime decisione del governo di Correa che nel frattempo si prepara ad incontrare il Papa, la cui visita rappresenta la possibilità per molti di denunciare la condizione in cui versano le persone delle periferie e delle campagne, specialmente le comunità indigene. L’immagine del Paese che ci eravamo costruiti in base alle letture e le notizie raccolte dalla stampa ma anche dalle informazioni messe insieme durante lo stesso Forum Sociale Mondiale, non sembra corrispondere con quello che vediamo passare sotto i nostri occhi e con le parole delle diverse realtà sociali incontrate da Quito a Cuenca.

Fin dal principio sembra però evidente la forte coscienza ambientale e l’importante legame che esiste tra mobilitazione sociale e difesa del territorio. “L’Ecuador ha avuto una storia diversa da quella degli altri paesi confinanti – spiega Yvonne Yanez di Acción Ecológica – Un paese territorialmente piccolo che possiede una grandissima biodiversità in cui non esistevano rivalità tra le varie signorie coloniali vista la grande disponibilità di terra coltivabile e il rapporto con la natura è stato sempre fondamentale per tutti gli ecuadoriani e, negli ultimi 30 anni, il movimento indigeno ha dato un gran impulso a tale tendenza, confermando ed rafforzando il concetto secondo il quale non c’è separazione tra la natura e l’uomo, tra l’ambiente e le comunità indigene”.

Le politiche di governo che hanno portato alla firma del Trattato di Libero Commercio con l’Unione Europea nel dicembre 2014 (che entrerà in vigore nel 2016), le leggi di riforma agraria e di uso delle risorse del territorio hanno sicuramente rappresentato occasioni importanti di mobilitazione ed incontro di diversi attori sociali. Nel 1973, con l’approvazione delle legge della riforma agraria, la comunità indigena si organizza per la prima volta per ottenere la proprietà della terra e vedere riconosciuto il lavoro da loro svolto nei campi. Dagli anni ‘70 in poi le comunità indigene cominciano ad organizzarsi in maniera più strutturata fino a giungere alla sollevazione popolare indigena dei primi anni ‘90. Durante questi anni la comunità indigena si afferma come nuovo attore politico e settore sociale di lotta civile che svolge un ruolo fondamentale nella nuova forma di governo e si pone come base fondamentale del nuovo stato plurinazionale.

La costituzione ecuadoriana riconosce ufficialmente 14 nazionalità indigene, 18 pueblos (popoli) e 12 lingue indigene. Nelle elezioni del 1996, il movimento indigeno partecipa con il Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik – Nuevo País, con il quale voleva incoraggiare la partecipazione politica delle comunità, che nel 1998 portò alla elezione di 8 membri al Congresso Nazionale dell’Ecuador. Nel corso degli anni, Pachakutik sembra però aver perso l’appoggio della base e di conseguenza anche il suo peso politico all’interno dello scenario ecuadoriano.

Nel 1972 a Urubamba nasce Ecuarunari, movimento della comunità quechua della sierra, con l’obiettivo di difendere il diritto alla terra su base regionale. Carmen Losano, dirigente Ecuarunari dal 2013, racconta la lunga resistenza delle comunità quechua contro le politiche del governo volte ad introdurre nel Paese le regole dettate dalla rivoluzione verde e i sistemi produttivi di mercato con l’imposizione di monocolture. Spiega Carmen: “Il governo, tramite la rivoluzione verde, ha introdotto semi modificati, pesticidi e concimi chimici, imposto monoculture intensive che vanno contro il sistema tradizionale di produzione agricola e minaccia la preservazione della cosmovisione indigena. Tale tipo di agricoltura minaccia la salute delle comunità, si produce cibo non sano, e il sistema di produzione di tipo industriale non rispetta i tempi della terra e non permette un lavoro e una gestione collettiva, propria delle comunità indigene. Dal rapporto dell’uomo con la terra, la conoscenza delle erbe medicinali, la difesa delle tradizioni, si può garantire la sovranità alimentare, la salute del proprio popolo, l’educazione dei propri figli. Lo sviluppo porta strade ma ci chiede di depredare il territorio con progetti di estrazione mineraria che compromettono la salute dell’ambiente…possiamo allora dire di vivere bene?”

Uno dei progetti di estrazione mineraria a cui Carmen fa riferimento è il progetto di Quimsacocha, dove Ecuarunari è attivo nella difesa dell’acqua della zona insieme ad altre organizzazioni tra cui la FOA – Federazione di Organizzazioni dell’Azulay, una federazione indigena attiva da 22 anni nella regione dell’Azuay nel sud dell’Ecuador. “La FOA – spiega il presidente Lauro Sigcha – nasce per difendere i diritti delle comunità indigene e delle comunità rurali e per fronteggiare le politiche di assistenzialismo del governo che non permettono il miglioramento delle condizioni di vita delle stesse comunità”.

Nel 2004 a Quimsacocha (che significa letteralmente 3 lagune), una zona dove si incontrano 2 grandi conche idrografiche, quella del Jubones che sfocia nell’Oceano Pacifico e quella di Santiago, affluente del rio dell’Amazzoni, la canadese Iamgold inaugura il progetto di esplorazione mineraria con la scoperta di giacimenti di oro nel sottosuolo che però comprometterebbero le falde acquifere della zona. Quimsacocha, infatti, ha un sistema lacustre di origine glaciale che conta circa 30 lagune, e dà origine a 3 fiumi: il Tarqui e lo Yanuncay (zona di Cuenca de Guapondélig) e il fiume Rircay (zona Giron, San Fernando e Santa Isabel). La FOA prende la guida della resistenza comunitaria nata contro il progetto, organizzando azioni di resistenza, marce, manifestazioni, incontri, occupazione di strade e raccogliendo consensi per predisporre la prima consulta comunitaria del 2011, processo in cui il popolo interroga le autorità. Dice Lauro: “Le comunità si mobilitano rapidamente e tenacemente quando si tratta di acqua”.

  • Inti Raymi Quito Ecuador

Inizialmente anche il governo Correa, eletto nel 2007, si era mostrato contrario al progetto di estrazione mineraria e aveva promesso che avrebbe fatto il possibile per bloccarlo, però nel corso del tempo il governo cambia posizione. Nel piano strategico del governo, la zona di Quimsacocha viene indicata con il nome di Loma Larga nel tentativo di creare confusione, e il governo tenta di ottenere l’appoggio della popolazione al progetto minerario creando consenso intorno alla politica estrattiva presentandola come strumento attraverso il quale i campesinos (contadini) potrebbero davvero migliorare la propria condizione: “Al momento i campesinos sono seduti su di un sacco di oro ma vivono come mendicanti, mentre attraverso la responsabilità sociale dei progetti di estrazione mineraria porterebbero nella zona ospedali, scuole ed infrastrutture”.

Le comunità hanno riflettuto sui vantaggi del progetto di estrazione mineraria di Quimsacocha e l’impatto di tale intervento sulle comunità e sull’equilibrio ambientale della valle e hanno scelto di lottare per la difesa dell’acqua, fondamentale per garantire la salute delle persone, coltivare, mantenere verdi i campi e dissetare gli animali. Senza la presenza di FOA e l’impegno delle comunità di San Fernando, Giron, Santa Isabel, Sigsig, Chordeleg, Gualaceo, e Quingeo, il progetto sarebbe già stato avviato. “Nella comunità di Condor Mirador la resistenza delle comunità non è stata decisiva abbastanza cosi che il progetto di estrazione mineraria è iniziato ed ora le comunità stanno scontando le conseguenze che prima avevano sottovalutato” dice Lauro.

Al momento, è in corso uno studio avanzato per valutare l’impatto ambientale del progetto ma lo studio non comprende una specifica sezione idrologica e non è stato dimostrato che il progetto non provocherà l’inquinamento delle falde acquifere di Quimsacocha.

In tale fase, FOA ha promosso un’azione legale per la convocazione di una seconda consulta popolare nella zona di Giron per la quale è richiesta la raccolta di 10.000 firme. La burocrazia governativa ha rallentato il processo tanto da impiegare due anni e mezzo per concedere l’autorizzazione a procedere con la consulta popolare per convocare poi, dopo circa una settimana, una contro-consulta, ponendo la questione del progetto di estrazione mineraria da un punto di vista diverso rispetto a quello della consulta. In quest’ultima, la formula consultiva recitava: “Sei d’accordo con il progetto di estrazione mineraria nella zona di Loma Larga?” mentre il quesito della contro-consulta interrogava come segue: “Sei d’accordo che il 60% della ricchezza mineraria sia di proprietà esclusiva di solo alcune zone di influenza?”

Il confronto con le istituzioni è stato spesso duro, fatto di scontri e arresti: tre esponenti del movimento sono stati arrestati e condannati con l’accusa di terrorismo. La mobilitazione delle comunità per richiedere il rilascio dei tre arrestati seguì imponente, tanto che le autorità decisero di rilasciare gli accusati dopo otto giorni di detenzione.

L’impegno della FOA non riguarda solo la difesa dell’acqua, ma anche quella della terra e dei diritti fondamentali della comunità indigena. Lauro ci parla della situazione della distribuzione della terra: “La terra non è distribuita equamente: il 12% dei proprietari terrieri possiede l’80% della terra coltivabile, mentre il 78% dei produttori il 15%. Per via della mancanza di terra coltivabile, molti contadini lasciano la campagna e vanno in città dove avviano piccole attività economiche informali, vendendo sigarette e caramelle. È chiaro che il problema della terra c’è e va risolto”.

La questione scolastica è un altro punto chiave dell’azione di FOA. Nel 2012, il Paese contava 22 mila istituti scolastici, nel 2015 il numero è stato ridotto a 16 mila, con l’obiettivo di portare il numero a 5.700. Il governo sta infatti chiudendo le scuole comunitarie. Dopo il 1990 le comunità indigene decisero di promuovere l’educazione interculturale e bilingue in modo da riscattare e conservare la cultura e la lingua quechua, perpetrando i valori comunitari e della zona andina, attraverso l’organizzazione, con l’approvazione dello Stato, di scuole comunitarie. Il governo ha ora deciso di unificare il sistema educativo per creare le così dette “scuole del millennio”, grandi edifici moderni e centralizzati, dotati della più recente tecnologia, in cui gli insegnanti seguono curricula standard occidentali. I bambini sono cosi costretti a lasciare i villaggi e muoversi nelle città per studiare, perdendo presto il contatto con la comunità.

La situazione generale del Paese vede un governo che sta progressivamente perdendo l’appoggio non solo delle comunità indigene, ma anche di molti lavoratori ed insegnanti che vendono in pericolo la propria sicurezza sociale, in seguito la presentazione della legge sull’eredità e quella sui guadagni speculativi.

Incontriamo Lauro nei giorni in cui la FOA e le altre organizzazioni stanno programmando una grande manifestazione e una lunga marcia, in collaborazione con altre realtà sociali indigene e non. Partecipiamo alla manifestazione a Cumbe dove per alzata di mano viene decisa la data di inizio della marcia: la prima settimana di agosto.

E proprio come deciso, dal 2 agosto, forze indigene, sindacali, associazioni studentesche ed ecologiste stanno partecipando alla marcia “per la vita, la dignità e la libertà” decisa da CONAIE (Confederazione nazionale degli indigeni in Ecuador) su iniziativa di Ecuarunari. La marcia è organizzata in tre colonne che percorreranno sette province del Paese dal nord, dal sud e dalla foresta amazzonica, per confluire congiuntamente a Quito il 13 agosto, giorno in cui sarà chiamato un grande unico sciopero nazionale da parte di tutti i sindacati e saranno occupate pacificamente le principali strade della capitale.

Un Paese ben diverso da quello che credevamo di incontrare, un Paese che ancora una volta sta cercando il suo equilibrio e lo fa come sempre marciando e lottando.

Stefano e Daniela

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