Argentina: le immagini del volo, 32 anni dopo, e un inizio 2012 poco incoraggiante

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Come può restare un corpo umano dopo la caduta in acqua da un aereo? La risposta l’ha data lo scorso mese con più di 130 immagini la Commissione Interamericana dei Diritti dell’Uomo (CIDH), la quale ha deciso di consegnare alla giustizia argentina le foto con cartine e frammenti di corpi annodati, portati dal Rio de la Plata alle coste uruguayane. Tutto fa capire che appartenevano alle vittime dei cosiddetti “voli della morte”, ovvero prigionieri politici buttati sul Rio della Plata, dopati ma ancora in vita. Era una delle maniere più “efficaci” che trovarono i carnefici durante la dittatura che durò dal 1976 al 1983 per sbarazzarsi delle loro vittime.

Immagine tratta da El Pais

La CIDH c’è le aveva da prima queste immagini, ma sono uscite fuori dopo ben 32 anni. Si tratta di un dato tutt’altro che banale. E’ la prima volta che l’istituzione apre i suoi archivi gelosamente custoditi per aiutare la giustizia, che per i “voli della morte” ha sette accusati. Fra il 6 e il 20 settembre 1979 la Commissione fece una risonante visita all’Argentina, quando visitò le istallazioni della Scuola di Meccanica della Marina (ESMA), ma non trovarono i prigionieri perché essi furano portati ad un’isola del Tigre (pochi chilometri verso il nord di Buenos Aires) appartenenti alla Chiesa Cattolica, secondo quanto racconta il giornalista Horacio Verbistky nel suo libro “L’isola del silenzio” (Fandango libri, 2006).

Sempre nell’ambito dei diritti umani nel Paese sudamericano, il 2012 è iniziato nel peggiore dei modi. Quando l’anno aveva solo quattro ore di vita, i militanti popolari Jonathan Brasante, di 17 anni, Claudio Suárez, di 19, e Adrián Leonel Rodríguez di 21 sono stati trucidati a Rosario (dove nacque il “Che” Guevara) da un gruppo di sicari. Volevano passare la notizia come un regolamento di conti per non andare avanti con le indagini, ma subito si è saputo che i quattro ragazzi gli unici conti che avevano da regolare erano con l’organizzazione sociale Dario Santillán, nome di un altro militante ucciso, in questo caso dalla polizia, il 26 giugno del 2002. Il mese di vacanze estive e l’intenso caldo, non ha impedito che venerdì si siano svolte diverse manifestazioni chiedendo  “l’arresto di tutti i responsabili materiali e morali”. Fra i cortei uno che ha attraversato il centro della città di Buenos Aires ed è finito davanti alla Casa Rosada. La denuncia è molto chiara: “La polizia corrotta è complice per gli spari dei sicari, dei narcotrafficanti e degli ultrà di calcio (ndr, che sarebbero gli autori degli omicidi)”.

Cinque giorni dopo, nella estesa provincia di Santa Fe dove si è consumato il massacro, la giustizia ha deciso di beneficiare con uscite transitorie all’ex giudice Víctor Brusa, la ex guardia carceraria María Eva Aebi y l’ex agente segreto Eduardo Ramos. Si tratta di tre repressori accusati di crimini di lesa umanità, decisione che ha provocato la tempestiva e inevitabile reazione da parte di diversi organismi di diritti umani.

Gli stessi gruppi non riescono a digerire una norma approvata lo scorso 22 dicembre in Parlamento e sostenuta dal governo di Cristina, per richiesta esplicita del Gruppo di Azione Finanziera Internazionale (GAFI). Si tratta della cosiddetta legge antiterrorista, la quale, sottolineano molte organismi, “duplica la pena per i delitti che siano stati commessi ‘con la finalità di terrorizzare la popolazione o costringere alle autorità pubbliche nazionali o governi stranieri o agenti di un organismo internazionale a portare avanti un atto o astenersi da farlo, tentando di  criminalizzare la protesta sociale”. Denunciano che essa ha già provocato “il processo di mille di compagni”.

La nuova legge non è in linea con un governo che pretende presentarsi come difensore dei diritti umani grazie a, fra le altre misure, la cancellazione delle leggi di impunità promulgate negli anni 80 che ha permesso la riapertura di processi contro i carnefici della dittatura. Persino “Carta Abierta” (“Lettera aperta”), un gruppo di intellettuali identificati col kirchnerismo, l’ha bollata “problematica e per nulla chiara”. Il governo prova a difendersi affermando che in 8 anni di potere (prima con Néstor e adesso con Cristina Kirchner) la repressione non è stato un metodo da loro usati.

Intanto, i processi contro i militari vanno avanti, dopo l’importante sentenza dell’ESMA dello scorso 26 ottobre che ha lasciato in gabbia, frai gli altri, a personaggi come Alfredo Astiz e Jorge Acosta. C’è molto più lavoro che tempo per andare avanti, se si tiene in conto l’età degli imputati e delle madri e altri familiari delle vittime, i quali temono che le prossime condanne arrivino troppo tardi, come è già successo con altri militari deceduti senza una condanna.

Gustavo Claros

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