Bettole d'esotismo

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Shanghai – Era un po’ che non ci andavo ma ultimamente sono tornata diverse volte a fare i massaggi in quelle che amichevolmente definiamo “bettole cinesi”.  Li’ non ti danno le tutine fashion in seta: te ne resti vestito cosi’ come sei.  Li’ non ci sono le stanze con finto arredo thailandese o indiano: i muri sono rivestiti di  carta da parati che e’ li’ li’ per staccarsi, i cuscini hanno dei fori da mozzicone di sigaretta, gli asciugamani si sfilacciano. Li’ non c’e’ la musichetta new age di sottofondo: in background senti gli scatarri dei cinesi della stanza accanto, i vicini che parlano (ad alta voce, of course) o, come nel mio ultimo caso,  la televisione con l’ennesima telenovela militare sulla resistenza contro l’invasore giapponese.


Li’, spesso, non hai neanche l’aria condizionata: al soffitto ruotano velocissime pale di ventilatori che sembrano schizzarsene in mille pezzi da un momento all’altro, portandosi poi dietro con se’  lampadario e soffitto. Li’ non ti offrono pregiati te’ orientali da sorseggiare: se ti portano qualcosa, e’ un bicchiere d’acqua calda.
Li’ non ti parlano inglese: e’ gia’ tanto se i massaggiatori e la receptionist si sforzano di parlarti in mandarino e non nel loro dialetto rurale.

Li’, poi, difficilmente te ne stai a ronfare mentre ti massaggiano: in quanto laowai, sei bersaglio di domande continue, se ti va bene rimani in silenzio per un paio di minuti (a meno che tu non sappia il cinese, o finga di non saperlo).
Eppure, e’ li’ che io mi sento dentro un episodio di vera Cina. E’ li’ che ho a che fare con l’ “uomo cinese medio”. Non medio da “classe media”, ma medio nel senso di comune. Perche’ la Cina rimane innanzi tutto una summa di tantissimi omini che la soglia di poverta’ l’hanno, si’, superata ma sono ancora ben lontani dalla sicurezza, dalla stabilita’ e dalle comodita’ dei ceti medi.

Ed e’, questo, un “uomo qualunque” che a me fa particolarmente tenerezza: di solito viene da una delle regioni attorno a Shanghai (e torna a casa una, al massimo due volte l’anno), lavora pressoche’ ogni giorno (ha due o tre giorni di ferie al mese,) e’ al lavoro 10 ore al giorno e il suo lavoro lo fa bene (di solito ha fatto uno o due anni di corsi di massaggio). Se consideriamo, poi, quello che prende e quello che prenderebbe se facesse la stessa cosa in Italia, (poverini, ogni volta che ci penso, mi sento in colpa per le ingiustizie del sistema): in media, un massaggio ai piedi (di un’ora) costa circa 35RMB (3,8EUR) , un massaggio a tutto il corpo (4,5 minuti) 45RMB (4,8EUR).

Questi sono i cinesi per cui lo straniero rimanere ancora una creatura avvolta di mistero, una sorta di alieno a cui guardano con occhi di bambini, curiosi, disarmati e incantati. Ti chiedono quasi sempre le stesse cose, cose che a te spesso sembrano delle ovvieta’ e alle quali dopo un po’ fai rispondere il tuo ‘pilota automatico’: “no, non sono Americana, sono Italiana” – “si, l’Italia e’ in Europa” – “no, in Italia non parliamo l’inglese, abbiamo la nostra lingua” – “si, anche da noi c’e’ l’estate e l’inverno e anche da noi d’estate fa caldo”, ecc. ecc.
Ma te lo chiedono con l’aria di un bambino a cui il nonno sta leggendo una fiaba, con quella naturale, spontanea, curiosita’ che da bambini avevamo per mondi o realta’ lontane, o inesistenti,  spazi in cui probabilmente sai che non andrai mai.

Ieri un amico (straniero) mi parlava del suo ultimo weekend, nel quale, tra le altre cose, e’ andato anche lui a farsi un massaggio ai piedi in queste “spa di bassa lega”, portandosi dietro libro e auricolari per evitare di sentirsi fare le stesse domande per la miliardesima volta. Quando ho sentito di libro e auricolari, non ho potuto trattenere un’espressione di disapprovazione. D’accordo, lui e’ qui da 10 anno e io “solo” da 5. D’accordo, effettivamente serve una dose non indifferente di pazienza per sorbirsi quel ‘terzo grado’ ogni volta. Pero’, se con un po’ di sforzo riesumi la tua pazienza, e’ in questi contesti che trovi  quel che rimane del vero esotismo del vivere in Cina di questi tempi.
O perlomeno cosi’ la penso io. “Esotismo?” – ha ribatutto il mio amico –  “Cosa c’e’ di esotico nel sentirsi chiedere per la miliardesima volta da dove vengo, se mi piacciono le cinesi, se ho una fidanzata cinese, ecc.?”

Capisco, non  ha tutti i torti. Ma that’s how it starts. Manda giu’ il boccone delle prime 5 o 6 domande, indirizza tu un po’ alla volta, sottilmente, il filo del discorso e vedrai che una qualche chicca non ti verra’ risparmiata.

Quest’ultima volta, ad esempio, il massaggiatore era arrivato alla domanda sul fuso orario. “Che differenza d’ora c’e’ tra l’Italia e la Cina?”, mi aveva chiesto. “Sei ore adesso”, gli spiego io [d’ inverno sono sette, perche’ qui non cambiamo l’ora]. E lui ,li’, per chiedermi se fossimo sei ore piu’ avanti o piu’ indietro, m’ha chiesto, letteralmente: “Ma voi siete sei ore piu’ veloci o piu’ lenti?”.

Ecco, a me cose del genere mandano in brodo di giuggiole! Non saranno chissa’ che pillole di saggezza, ma per me sono questi piccoli aneddoti casuali che rendono la mia vita qui esotica, diversa e imprevedibile e non altrimenti neo-coloniale o neo-imperialista.

Penso che il giorno in cui avro’ bisogno di portarmi un libro e mettermi gli auricolari mentre un Cinese mi fa un massaggio sara’ giunta per me l’ora di lasciare questo Paese.

Silvia Sartori

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