Cervelli in fuga: vorrei, ma non torno

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Sostenere la ricerca e i suoi protagonisti. L’ultimo appello arriva dalla Crui, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, che a pochi giorni dalla elezioni ha indirizzato una lettera aperta ai candidati premier; una sorta di invito a impegnarsi pubblicamente per salvare gli atenei italiani, luogo di formazione delle generazioni future e motore dello sviluppo del Paese. “Finanziare posti di ricercatore da destinare ad almeno il 10% dei dottori di ricerca e togliere i vincoli al turnover per impedire l’espulsione dei giovani migliori dal Paese e il progressivo

invecchiamento della docenza” è quanto si legge nell’appello. È l’ennesimo e ulteriore tentativo di riportare l’attenzione su problemi che da anni affliggono il mondo della ricerca: la mancanza di opportunità, gli scarsi finanziamenti, la fuga dei cervelli.

“Ho lasciato l’Italia quattro anni fa – racconta Anna Rita Bennato, Phd in Economia e ricercatrice presso il Centre for Competition Policy dell’University of East Anglia (UK) dove si occupa di brevetti e proprietà intellettuale – la mia fuga è legata alla possibilità di poter proseguire la ricerca in modo più dettagliato. L’Italia di certo mi manca molto, ma non credo che tornerò. Allo stato attuale mi sembra davvero molto difficile pensare di trovare lo stesso lavoro che riesca a garantirmi la libertà e l’autonomia offertami qui”. 

I numeri. Anna Rita è parte di quel flusso di cervelli in fuga, giovani laureati e altamente qualificati, che da anni non si arresta, anzi. Nel solo 2011, secondo l’Istat, sono stati oltre 10.600 i giovani laureati che hanno lasciato l’Italia con un incremento del 29% rispetto all’anno precedente. Una risorsa in cui il nostro Paese ha investito e investe, ma che poi perde. Si stima, infatti, che la fuga dei cervelli ci costa circa un miliardo di euro all’anno. Il dato emerge incrociando la spesa sostenuta dallo Stato Italiano per la formazione degli studenti con i numeri emersi dal rapporto “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” pubblicato dall’Istat. A ciò va aggiunta un’ulteriore voce di spesa di 4 miliardi di euro, cifra che equivale, secondo l’Istituto per la Competitività-ICom, al valore dei 301 brevetti depositati dai 20 principali scienziati italiani emigrati all’estero negli ultimi 20 anni (1989-2009).

Rientri e attrattività. Nell’ultimo decennio sono state numerose le misure messe in cantiere per incentivare il ritorno in patria di giovani talenti, misure inglobate nel programma denominato “Rientro dei Cervelli”, il cui ultimo bando è scaduto lo scorso 3 marzo. Nato nel 2001 per attrarre sia ricercatori italiani che stranieri – questi ultimi sempre poco interessati e/o motivati a lavorare in Italia (per ogni laureato che entra ne esce uno e mezzo) – il programma ha presentato nelle varie edizioni modalità di partecipazione e soprattutto di stabilizzazione molto differenti. Si andava da contratti di tre anni rinnovabili, all’istituzione di canali riservati per stabilizzare i rientrati, alla chiamata diretta. Numerosi i partecipanti, pochi i fortunati riusciti a tornare.Ma quanti sono i cervelli rientrati e che cosa è accaduto dopo il loro rientro? La risposta è di quelle difficili, molto. Al momento non esiste un’anagrafe aggiornata. Si parla di oltre 500 rientri, ma non si sa con certezza quanti di questi si siano fermati. L’unico dato disponibile parla dell’8% di assunzioni, ma il dato non è certificato dal Ministero competente.

Controesodo. Ci sono isole felici, anche in Italia, luoghi che attraggono ricercatori da tutte le parti del mondo per la qualità e la multidisciplinarità della ricerca svolta. Una di queste è il Friuli Venezia Giulia, che da qualche anno registra un crescente livello di interesse e attrattività tra ricercatori e studenti stranieri. Basti pensare che nel 2011 sono stati poco meno di 15.000 (3.729 studenti e 10.925 ricercatori) gli stranieri che hanno, per un periodo più o meno lungo, lavorato o studiato in una delle istituzioni scientifiche presenti sul territorio.

Rilevante è anche il dato che riguarda i ricercatori stranieri che operano stabilmente presso gli enti di ricerca e le università presenti in regione. Su un totale di 8.635, poco più della metà, 4.485, proviene dall’estero. Ciò rende il Friuli Venezia Giulia una regione ad alto tasso di internazionalizzazione e ne aumenta la forza attrattiva.

I dati emergono dall’indagine “La Mobilità della Conoscenza”, studio annuale condotto dal Coordinamento degli Enti di Ricerca regionali (CER), un’iniziativa della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, in collaborazione con il MIUR e il MAE, nata nei primi anni del 2000.

Francesca Iannelli

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