Diario sudanese: in viaggio nel Sud Kordofan (1)

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Stamattina sveglia presto, decido di tentare la fortuna, e salgo su un taxi condiviso da El Obeid a Kadugli. Vola via veloce per una strada larga e asfaltata, e alle dieci e mezza incredibilmente siamo già arrivati. Kadugli è il capoluogo del Sud Kordofan: uno stato centrale del Sudan, zona di frontiera tra i deserti e le savane, e tra le popolazioni arabe del centro-nord e i vari popoli africani del sud.  Il confine con il Sud Sudan non è molto lontano. Ad est di Kadugli si trovano i Monti Nuba: una piccola isola fertile circondata da savane e paludi, abitata da diversi gruppi etnici non arabi e affini alle genti del sud, ma inserita amministrativamente nel nord. La guerra qui è stata particolarmente violenta. Da qualche anno la situazione sembra essersi tranquillizzata ma è una calma apparente, e nessuno sa cosa succederà dopo l’indipendenza del sud.

Per miracolo nel mercato di Kadugli c’è un fuoristrada già pronto e in partenza per Kauda, il capoluogo dei Monti Nuba, la mia meta. Riesco persino a negoziare un posto davanti in cabina: oggi ho il vento in poppa. Viaggiamo prima su una strada sterrata, poi per piste nella savana, guadi di ruscelli, e letti di fiumi in secca. Avanziamo a rilento verso le silhouette lontane delle colline: le costeggiamo, le sfioriamo quasi, poi ci allontaniamo di nuovo. Infine ci inoltriamo per una vallata verdissima e iniziamo a salire, superiamo un primo passo, sbuchiamo in una seconda vallata, e cominciamo a vedere una serie di villaggi minuscoli e miseri con case di pietra a secco dai tetti di paglia conici e appuntiti. Siepi di erbe alte e di arbusti si chiudono in cerchio attorno alle abitazioni per proteggerle. Sembra di inoltrarsi in contrade lontanissime. Il Sudan, il mondo arabo, sono finiti a El Obeid. Già da questa mattina sento di trovarmi da un’altra parte, in un luogo vagamente familiare; mi sembra di essere rientrato in Congo.

Arriviamo a Kauda verso le quattro: è soltanto un grande villaggio, con un ampio mercato molto vivace, prati e campi subito intorno, e case sparpagliate nel verde. Nessuno mi ha controllato il passaporto, nessuno mi ha chiesto il permesso di viaggio, e non ci sono posti di blocco lungo la strada. Ma non era questa una zona di confine, tesa e contesa?

Trovo facilmente alloggio, grazie a un altro passeggero, nella base di un’organizzazione internazionale; ci rimedio pure un invito a cena. In serata esco a passeggiare per i vicoli del centro, ancora carichi di umanità, e mi siedo ai bordi della strada in penombra, per osservare i passanti, cullato dolcemente dal chiacchiericcio e dalle risa. Rimango sempre affascinato da queste borgate rurali in cui il numero delle bettole e delle case da tè sorpassa quello delle abitazioni: sono dei veri centri di incontro e di civiltà, e la gente vi si raduna per scambiare notizie, fare qualche affare, e godersi un breve momento di svago. Scambio anch’io due chiacchiere con un gruppetto di uomini, e poi è già tempo di rientrare a dormire.

(25 agosto 2010)

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