Giovani europei, la generazione esclusa: dateci gli strumenti per contare

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La scorsa settimana ho avuto la fortuna di partecipare, a Strasburgo, sede del Parlamento Europeo e del Consiglio d’Europa, ai lavori di un progetto del programma Youth in Action dell’Unione Europea. Il progetto si chiama “Youth Employment and Participation” (YEP) e consiste nel riunire alcune delegazioni di giovani, provenienti da diversi Paesi europei, e impegnati a vario titolo nella vita sociale delle rispettive comunità.

Ai lavori di Strasburgo hanno partecipato due delegazioni italiane (una veneta e una leccese), una francese, una spagnola, una croata e una bulgara. In tutto una quarantina di ragazzi che, coadiuvati dagli operatori di ALDA (l’agenzia organizzatrice, che ha sede anche a Vicenza) si sono confrontati per quattro giorni sui temi dell’occupazione e della partecipazione giovanile. Io sono partito con la rappresentativa veneta, formata da un gruppo di collaboratori della Cooperativa Cosmo di Vicenza, e dal sottoscritto, trentatreenne Assessore alle Politiche Giovanili del Comune di Trevignano, in provincia di Treviso.

Da una prima fase di condivisione delle tematiche e di confronto tra le rispettive realtà nazionali (che non sono parse così dissimili l’una dall’altra!) si è passati a una disamina di una serie di iniziative attuate nelle varie parti d’Europa per far fronte alla galoppante disoccupazione giovanile. Iniziative che partono dal pubblico (da questo punto di vista le politiche giovanili della Regione Puglia sembrano particolarmente all’avanguardia anche rispetto ai partner stranieri), ma anche iniziative di stampo privato, che vedono protagonisti gruppi di giovani che hanno tracciato nuovi percorsi per raggiungere l’obiettivo finale: il lavoro. E su questo fronte, la rappresentativa Veneta ha potuto portare una serie di interessanti esperimenti imprenditoriali che hanno riscosso notevole attenzione: il Gruppo di Acquisto Solidale del Terreno che sta nascendo tra Trevignano e Montebelluna, l’associazione di ragazzi che impartiscono ripetizioni venutasi a formare a Paese grazie all’intercessione di Comune e Cooperativa Il Sestante; l’adattamento del modello del cargo-pooling per trasportare merci risparmiando; il sodalizio artistico e professionale che sta portando alla realizzazione del film a budget zero “Venezia Impossibile”.

Ma esempi di creatività applicata all’arte del sopravvivere arrivano da tutti i Paesi: l’esperienza degli architetti “Transformatori” a Sofia, KEP l’agenzia di viaggi che si occupa di itinerari inconsueti a Valencia, i “Safety drivers” di Zagabria… Insomma, circolano buone pratiche da esportare, insieme a buone pratiche da recepire. Un flusso di idee a cui viene richiesto di svolgere la funzione dei non più disponibili denari. Imparare la creatività, come concetto, come portatrice di inattese soluzioni, come ingrediente necessario per la preparazione del dolce futuro.

Ma la gioventù europea è pronta a farsi protagonista di questa necessaria spinta di rinnovamento? Probabilmente non lo è! E questo è il timore dalla gioventù stessa, che a Strasburgo ha espresso tutte le sue perplessità. C’è più di un problema da risolvere.

Il primo problema riguarda la scarsa propulsione dei giovani, che si sentono scarsamente preparati sul tema del “fare impresa”, e per questo inadeguati a siffatto genere di percorso. I gruppi di lavoro hanno concordato su una necessità: inserire nel percorso universitario (di ogni genere, anche di stampo umanistico) dei moduli obbligatori che insegnino allo studente il come poter far fruttare le proprie conoscenze creando un’impresa, che diano le coordinate da utilizzare per trasformare i propri talenti in business.

Le idee non mancano, e nemmeno gli strumenti per farle emergere. Manca però la conoscenza di tali strumenti. Ed è in questo frangente che emerge prepotente lo scollamento tra istruzione e mondo del lavoro.

In secondo luogo, la popolazione giovanile appare scarsamente interessata e scarsamente partecipe alla cosa pubblica, ambito nel quale (che lo si voglia o no!) vengono prese anche le decisioni che li riguardano in prima persona. Da dove deriva questo diffuso disinteresse? Da una scarsa fiducia nella politica, questo è chiaro. Ma anche da un costante allontanamento tra gioventù e istituzioni, che è partito probabilmente dall’ambiente scolastico. L’educazione civica non viene più insegnata e, quando diventa materia di studio, non le viene dedicato il giusto peso. I giovani vanno stimolati: troppi input li portano sulla via del disinteresse, del menefreghismo, dell’individualismo. Se non è l’istituzione scuola a tentare di formarli come cittadini, come protagonisti attivi della società che presto dovranno guidare, chi lo può fare al posto suo?

Sono piccoli stimoli. Sono punti esemplificativi di una lunga serie di problemi e soluzioni emersi durante giorni di intenso dibattito. Sono pensieri che, al momento, restano tali. Perché manca il filo diretto tra le generazioni. E’ inequivocabile che la fascia 18-35 sia quella più in difficoltà allo stato attuale: manca il lavoro, quando c’è è precario, mancano le prospettive, manca un progetto di vita, la voglia di osare è asfissiata da burocrazia fisco ostruzionismo. E’ inequivocabile che se la fascia 18-35 non lavora, non produce ricchezza, non cresce, non investe, continuare a discutere di pensioni non avrà più alcun senso: niente lavoro – niente contributi – niente pensioni!

Eppure il dialogo giovani-istituzioni è pressoché nullo. Lo affermo da giovane che si è impegnato in politica, da giovane che si occupa di politiche giovanili. Spero, con questa lettera aperta, di stuzzicare qualcuno: giovani e politici. Gli uni, perché si dèstino da un sonno indotto che li porta ad autoescludersi dalle scelte che contano. Gli altri, perché questo dialogo lo cerchino, lo stimolino, lo vivano in prima persona. Vorrei presto non dover più parlare di giovani e di politici, ma di giovani politici.

 

Dimitri Feltrin

Assessore alle Politiche Giovanili

Comune di Trevignano

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