Il deserto di Hebron

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E’ già la terza volta che visito la città vecchia di Hebron. Le altre due volte però era di sabato: le botteghe del mercato arabo erano aperte, la strada principale era abbastanza trafficata, e si incrociavano facilmente altri gruppetti di stranieri in visita.

Oggi invece è venerdi: tutti i negozi sono chiusi e le vie sono quasi deserte. Un’atmosfera vagamente spettrale pervade la città. Arrivati in fondo al mercato, e superato il posto di blocco israeliano, scopriamo che l’ingresso alla grande moschea è vietato ai turisti perché è il giorno di preghiera per i musulmani. Al contrario, ci informano due ragazzini, oggi possiamo visitare il lato ebraico…

Ho già descritto qualche mese fa l’orribile colonia israeliana installata nel pieno centro di Hebron e il giro settimanale dei coloni con la loro massiccia scorta armata. Non ho ancora parlato però delle Grotte dei Patriarchi e della Moschea di Abramo. Qui sono sepolti, nel centro di Hebron, i tre grandi patriarchi delle religioni monoteiste: Abramo, Isacco e Giacobbe. E’ il secondo sito più santo per l’Ebraismo, ed un luogo di culto importante per i musulmani e i cristiani. Sulle tombe dei patriarchi, in origine costruite in alcune grotte sotterranee, fu eretto anticamente un santuario ebraico, che divenne poi una chiesa (all’epoca dei bizantini) e infine una moschea (dopo la conquista araba).

Dopo l’occupazione israeliana di Hebron nel 1967 e con il progressivo espandersi della colonia, ci sono stati diversi scontri e attacchi tra ebrei e musulmani in relazione al diritto di entrare e di pregare nella moschea. Il caso più grave fu il massacro compiuto nel 1994 da Baruch Goldstein, un colono israelo-americano, che penetrò armato nella moschea e aprì il fuoco contro i fedeli musulmani lì riuniti in preghiera, uccidendone 29 e ferendone oltre un centinaio. Da allora le autorità israeliane hanno diviso la moschea in due sezioni differenti: una parte per i fedeli musulmani, l’altra per i fedeli ebraici. I due lati sono separati da una parete permanente di metallo, i due ingressi sono completamente separati, e un plotone di soldati israeliani sorveglia l’edificio. E’ un altro esempio delle follie alle quali l’uomo viene spinto dal fanatismo religioso.


Visitiamo il lato ebraico della moschea: le sale di preghiera sono quasi vuote, c’è un silenzio tombale. Ai muri sono appesi dei drappeggi con dei brani delle Scritture o delle preghiere in ebraico; ma poco sopra si leggono ancora i versetti coranici decorati a stucco lungo la parete. In una sala laterale, un signore vestito da ebreo ortodosso recita le sue preghiere in solitudine, chinando il capo, assorto in un incomprensibile mormorio.

Uno scaffale basso di legno ospita una collezione di volumi religiosi, tra cui varie copie della Torah e del Talmud, rilegati con una copertina marrone o verde scura. Mi ricorda tantissimo gli analoghi scaffali dall’altro lato dell’edificio, con la stessa forma, e un genere di volumi molto simili, ma dal titolo diverso: il Corano. Si rafforza in me la convinzione che le tre grandi religioni monoteistiche siano in fondo tre versioni differenti di uno stesso credo.

Usciamo nel giardino di fronte al santuario e incrociamo all’ingresso un paio di pullman carichi di visitatori ebrei: vengono da Tel Aviv o da qualche altra città israeliana, giusto in tempo per l’inizio dello Shabbat. Dietro di loro vediamo un folto numero di soldati e di jeep militari, posizionati all’entrata a loro protezione. Ci affrettiamo ad allontanarci e imbocchiamo Shuhada Street, la via principale del centro che attraversa tutta la colonia.

Ancora una volta, ancora di più, il paesaggio urbano è vuoto, abbandonato, desolante. I vecchi negozi dei commercianti arabi sono tutti chiusi e sprangati da anni, e le erbacce crescono al loro ingresso. Tutti i vicoli in direzione del mercato sono bloccati da barriere di filo spinato, paratie metalliche, e muri di cemento armato. Lungo la strada incontriamo soltanto soldati israeliani, e una pattuglia di due osservatori internazionali della TIPH*. Ancora più delle visite passate, mi sembra di essere in una zona di guerra. Anzi, direi che lo sono. Qui è in atto una guerra fredda, lenta e inarrestabile, per il controllo e il possesso di un’antica e martoriata città.


Quattro Appunti

* La Presenza Internazionale Temporanea a Hebron (TIPH secondo l’acronimo inglese) e’ una missione internazionale di osservazione incaricata di monitorare la situazione di sicurezza e il rispetto delle leggi internazionali a Hebron.

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