Il sorriso di Anarkali

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Oggi è il dodicesimo giorno del Capodanno Cinese del Dragone. Singapore però non è una città cinese. Qui ci sono anche delle minoranze importanti, immigrate come i cinesi nella penisola malese durante la colonizzazione britannica, come ad esempio gli indiani.

Mentre guidavo per accompagnare i miei figli a scuola, incolonnato in una lunga coda al semaforo di un tratto di strada particolarmente congestionato, il mio occhio annoiato dalle onnipresenti lanterne rosse appese agli alberi è caduto sull’illustrazione del furgoncino davanti alla mia auto. Il volto di una presunta bella ragazza, secondo i canoni indiani almeno, faceva parte del marchio Anarkali. Mi sono chiesto: «Perché proprio lo slogan “Per un gusto di Regalità & Perfezione“?» Normalmente non assocerei la regalità al riso.

Incuriosito, ho digitato la parola “Anarkali” sul mio iPhone ed ho scoperto che questo nome si riferiva ad una schiava leggendaria di Lahore nel Punjab (nell’attuale Pakistan) che era stata sepolta viva per ordine dell’imperatore Moghul Akbar per avere avuto una relazione con suo figlio, il principe Nuruddin Saleem, poi divenuto l’imperatore Jahangir.

Era stata chiamata Anarkali, cioè “fiore di melograno“. I Moghul erano turchi, e “Nar” in turco significa melograno ancora oggi, e खिलना (killa) vuol dire fiore in Hindi. Quindi “A-“, prefisso copulativo (= di), “nar” (=melograno) e “k-l” (=fiore) diventa Anarkali. Come può essere affascinante la vita se solo si ha la curiosità di scavare sotto la superficie delle cose. Naturalmente noi tutti siamo sempre occupati. E come si può essere occupati, mentre si spreca il nostro tempo col pendolarismo? Il rosso di un semaforo può durare piuttosto lungo e iPhone mi dà tutte le informazioni che desidero.

L’origine della storia di Anarkali

Com’era nata questa storia infelice?

L’imperatore Moghul Akbar aveva mandato suo figlio, il principe Saleem, a fare il militare per quattordici anni per imparare la disciplina necessaria a governare l’impero. Quando finalmente Akbar permise al figlio di tornare a palazzo a Lahore, fu fatta una grande festa, durante la quale l’harem di Akbar organizzò una  Mujra (danza) di una bella ragazza di nome Nadeera, figlia di Noor Khan Argun. Dato che era una bellezza eccezionale, “come un fiore che sboccia”,  si diceva, Akbar la chiamò Anarkali(=fiore di melograno).

Fu allora che il principe Saleem s’innamorò di lei e fu subito chiaro che si trattava di un amore reciproco. Quando Saleem informò suo padre che voleva sposare Anarkali per farla imperatrice, Akbar gli proibì di rivederla.  Si era creato un classico conflitto edipico tra padre e figlio, ed in più Anarkali, nonostante la sua fama e bellezza a Lahore, era solo una ballerina, non di sangue nobile.

Saleem, come qualsiasi innamorato non si arrese e, aiutato dai suoi amici, scappò con Anarkali.

Inizialmente si nascosero nella periferia di Lahore. Akbar quindi diede a suo figlio due scelte: o consegnare Anarkali o ad affrontare la pena di morte. Nella sua passione, il principe Saleem scelse la pena di morte. Anarkali, tuttavia, anche lei innamoratissima di Saleem, non poteva vederlo morire così uscì dal nascondiglio e si avvicinò all’imperatore, chiedendogli se poteva scambiare la sua vita con quella del principe.

Il bazaar di Anarkali a Lahore

Quando Akbar espresse il suo accordo, Anarkali gli chiese di poter soddisfare un solo suo desiderio, di trascorrere ancora una sola notte di piacere con il suo amato Saleem. Passata la notte con l’innamorato, Anarkali lo drogò con un narcotico di cui aveva imbevuto un fiore di melograno. Dopo un lungo addio con molte lacrime davanti a Saleem addormentato, Anarkali lasciò il palazzo reale con le guardie dalle quali fu sepolta viva in una fossa in un luogo che oggi, a Lahore, si chiama “il bazaar di Anarkali”.

Basmati in sanscrito significa “fragrante” e per coincidenza in arabo significa “sorriso”. Tutte qualità che sarebbero appartenute certamente ad Anarkali.

Giovanni Lombardo

Photo: Anarkali Tomb, by King Eliot – Own work, CC BY-SA 4.0, via Wikipedia

Ti potrebbe interessare