Juba: se le catastrofi sono manna dal cielo (il Sud Sudan come non ve l’ha mai raccontato nessuno)

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Già da quando atterro mi rendo conto che Juba, come al solito, non ha molto da offrire, tolto qualche km in piu di strada asfaltata, corruzione incompetenza e malattie. Sono fortunato ad essere ospitato da un amico conosciuto qui nel 2011, durante il circo del referendum, e a risparmiare cosi almeno 70 dollari a notte, ovvero la più economica sistemazione qui a Juba. Il costo della vita è altissimo per diverse ragioni. Da una parte, qui, oltre al petrolio – ed ora nemmeno quello – non si produce niente, nonostante la terra sia fertile e la pioggia abbondante. Tutti hanno vacche ma nessuno fa formaggio, e la maggior parte del latte utilizzato qui è quello solubile. La carne più comune rimane quella di capra, che viene macellata e venduta in scarsissime condizioni igieniche. Tutto viene importato da Uganda e Kenya.

Se lo scopo di UNMISS (missione Onu in Sud Sudan) era quello di preparare una nuova nazione all’indipendenza, allora anni di missione e miliardi di dollari spesi non sono serviti ad un cazzo, dato che ci troviamo in uno Stato con corruzione alle stelle, senza nessun tipo di infrastruttura o di apparato produttivo. Ora, da quanto mi è dato sapere, l’esercito non riceve salario da circa 4 mesi, la popolarità del presidente è ai minimi storici (anche perché è per ora il primo ed unico presidente di questa nazione) e nemmeno il suo cappello da cowboy sembra poter far nulla per evitare una catastrofe. E parlando di catastrofi, qui in corso ce ne sono. Umanitarie, ovviamente, ma tutto diventa grottesco quando si varca il confine. Senza entrare nei dettagli, una certa agenzia ha ordinato, o così dicono, un certo numero di sacchi da morto, temendo un’imminente epidemia in un certo campo profughi. Ora. Le body bag sono state perse chissaà dove tra Nairobi e Juba, e i poveri bastardi che la cui vita sfuggirà loro, poco poeticamente, dal culo, saranno, parafrasando, lasciati di cani ed augelli orrido pasto, o seppelliti in fretta, o pi§ realisticamente bruciati per evitare epidemie. Che queste catastrofi siano la manna dal cielo per il governo del SS – sta per South Sudan, Hitler non c’entra nulla,credo – è cosa appurata. Obbliga donatori internazionali a tenere il rubinetto aperto, e le varie Ngo e Onu a stare qua a sputtanare soldi pubblici e noi fotografi a fare foto strappalacrime di bambini denutriti pieni di costole in vista e occhioni tristi.

Nell’ultimo campo profughi in cui sono stato i militari si prendevano bellamente da mangiare, nascondevano armi e voci dicono (assolutamente non confermate) che facessero anche reclutamento forzato di giovani in età d’armi. Detto questo, SS rimane un posto incredibilmente interessante. Un popolo resistente piu§ delle nuove strain di tubercolosi, abituata a fare da sè  alla propria maniera, conflitti tribali, schermaglie e trattative di pace con il nord, confini non demarcati, petrolio e, non ufficialmente, altre risorse, politici corrotti, militari ubriachi ai checkpoint. Insomma, un cazzo di casino. In tutto questo è bello vedere che alcuni aid workers non hanno la minima idea di cosa stia succedendo, né degli effetti delle loro cure miracolose per il paese, altri vivono in un posto meraviglioso dove dai rubinetti esce ambrosia, la plastica bruciata profuma di bucato e le zanzare anofeli ti mettono in circolo LSD invece della fottuta malaria. Direi che come primo aggiornamento possiamo fermarci qui. Ringraziate la malaria senno non avrei avuto tempo di scrivere tutte queste assurdità – è malato, non sa quel che dice!

Giulio Petrocco

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