Le insane sanatorie

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In Italia, le migrazioni di massa sono cominciate una ventina, abbondante, di anni fa. Da allora, si sono succeduti governi di centrodestra e di centrosinistra; abbiamo avuto un Testo Unico nel 1998, grazie a Livia Turco e a Napolitano e da lì in poi una serie di misure restrittive delle azioni di integrazione, grazie a Fini e a Bossi prima e a Maroni, dopo. In questo stesso periodo, abbiamo anche ratificato molte direttive UE sugli immigrati e i rifugiati che in molti casi non abbiamo applicato, per mancanza di regolamenti, o di fondi.

 Se c’è qualcosa che lega tutte queste esperienze diverse nella governance dei fenomeni migratori è però il ricorso costante allo strumento della sanatoria, un istituto giuridico aberrante che ha una doppio effetto deleterio.

Da una parte, l’idea di sanare la presenza di un immigrato irregolare, sul nostro territorio, vuol dire, implicitamente, considerare insana la sua presenza e stimolare così una percezione di rischio, di vulnerabilità, di pericolo, nella popolazione autoctona. Dall’altra, utilizzare la sanatoria come canale più importante di entrata per gli immigrati, vuol dire rinunciare a un governo efficiente del fenomeno; vuol dire ammettere l’incapacità di controllare le frontiere e di pensare a canali “possibili” e legittimi, per tutti; vuol dire legittimare la normalità di un periodo di clandestinità, per chi entra irregolarmente, che lascia l’immigrato privo di diritti, scettico al richiedere assistenza e servizi sociali, più facilmente coinvolgibile nell’economia informale, o persino nell’illegalità. Grazie alle sanatorie sono stati regolarizzati circa il 70% degli immigrati regolarmente presenti in Italia e parte di essi (circa 30.000 l’anno), nel frattempo sono diventati cittadini. Le sanatorie più numerose, per altro, sono state implementate proprio da quei governi che si dichiaravano più combattivi rispetto all’irregolarità.

Anche il governo Monti non è stato da meno, proponendo una nuova sanatoria, per colf e lavoratori, il cui periodo per la presentazione delle domande partirà fra una settimana (dal 15 settembre al 15 ottobre) . Da buon governo di banchieri, il nuovo governo ha raddoppiato l’una tantum che il datore di lavoro dovrà versare per fare la domanda, facendola lievitare da500 a1000 euro. Ha poi previsto che potranno fare domanda soltanto coloro che occupano un immigrato irregolare da almeno 6 mesi, versando loro, in un’unica soluzione, l’intera somma contributiva. Inoltre, all’immigrato in questione verrà richiesto di dimostrare di essere presente in Italia almeno dal 31 dicembre, tramite certificato medico o altro documento. Questo vuol dire in pratica che i datori di lavoro proporranno, in molti casi, all’immigrato stesso di sborsare la somma di 2-3mila euro allo stato e che quest’ultimo si troverà costretto a trovare o “inventarsi” o a “farsi aiutare nel falsificare” un documento che dimostri o presuma la sua presenza da più di 8 mesi in Italia. È un po’ come dire: ti chiediamo di pagare, a caro prezzo, il riconoscimento dell’accesso ai servizi sociali, pubblici e sanitari che l’Italia riconosce, in misura comunque minore rispetto ai cittadini a chi possiede il permesso di soggiorno.

Mi si contesterà che il fine esplicito della nuova sanatoria sia l’emersione del lavoro in nero e il recupero dei relativi tributi dovuti allo stato e che ciò faccia parte di quella “lotta di civiltà” che Monti quotidianamente proclama. Questo è solo in parte vero. Come dimostra il direttore dell’INPS, intervistato da stranieriintalia.it, infatti, a tre anni di distanza dalla sanatoria Romani “per le badanti”, soltanto il 30% di coloro che ottennero il permesso, sta ancora lavorando regolarmente in Italia. Gli altri sono tornati in patria, sono emigrati altrove o, più probabilmente, sono tornati a lavorare in nero. In attesa di una nuova sanatoria, questa.

Vincenzo Romania

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