L'onda lunga del terremoto (politico) d'Amburgo

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

 articolo e foto di Silvia Fabbi

Un sindaco troppo conservatore e amante dei riflettori. Al punto da perdere i consensi dell’elettorato perché il racconto del proprio innamoramento con la moglie è stato, con il suo via libera, sbattuto in prima pagina da una rivista patinata. Una città talmente attaccata alla divisione in classi da rispecchiare anche nella pianificazione urbanistica la propria “ghettizzazione” sociale. Il terremoto politico che ha interessato la città anseatica di Amburgo/Hansestadt Hamburg alle comunali di domenica scorsa è arrivato a calamitare anche l’attenzione internazionale. L’idea è che Amburgo, porto internazionale e città-stato indipendente e visionaria, segni la via che anche altre città europee potrebbero e dovrebbero seguire.

Partiamo dalla fine. Se la sconfitta della Cdu nelle elezioni per il sindaco ad Amburgo, seconda città della Germania dopo Berlino, era ampiamente prevista, le dimensioni della débacle sono state molto al di sopra di qualsiasi attesa. Letteralmente dimezzati i consensi dei cristiano democratici, da dieci anni al governo della città, passati dal 42,6% dei consensi del 2008 agli attuali 21,9% (la perdita è stata del 20,7%). Al contrario le urne hanno fatto segnare l’exploit dell’Spd, che dal 34,1% messo a segno nel 2008 è balzata al 48,3%, percentuale con cui si appresta a guidare da sola la città. Crescono anche i Verdi che ottengono l’11,2% nonostante facessero parte della coalizione che amministrava Amburgo. La Fdp ha ottenuto il 6,6% mentre la Linke ha ottenuto il 6,4%. A determinare il crollo della Cdu, probabilmente, la pessima scelta di candidare alla poltrona di sindaco un conservatore tradizionalista non particolarmente amato in una città tradizionalmente “liberal”.  

Nessun mistero sulle ragioni della sconfitta del sindaco uscente Christoph Ahlhaus, esponente Cdu vicino alla cancelliera Angela Merkel che lascia il posto al socialdemocratico Olaf Scholz. Ahlhaus era succeduto alla fine della scorsa estate al cdu Ole Von Beust, ma non era mai riuscito a sfondare davvero. Conservatore e tradizionalista (al contrario del suo predecessore Von Beust, gay dichiarato) Ahlhaus non è mai entrato nelle simpatie dell’elettorato. Due i passaggi fondamentali nella parabola discendente della Cdu. Il primo, alla fine della scorsa estate, erano state le dimissioni di Von Beust, seguite tre mesi fa dalla decisione dei Verdi di far cadere Ahlhaus togliendogli l’appoggio politico e dissolvendo così il sodalizio nero-verde che guidava la città. Fuor di politica, gli analisti segnalano anche altri passi falsi di Ahlhaus. In un mondo letteralmente governato da comparsate su televisioni e giornali, la colpa principale di Ahlhaus sarebbe stata quella di concedere una intervista esclusiva alla rivista patinata Bunte. Il sindaco davvero poco teutonico ha raccontato di come si è innamorato di sua moglie: un vero e proprio sacrilegio. 

Amburgo è città multietnica e multiculturale, vero capoluogo tedesco sul fronte degli spettacoli teatrali e cinematografici e, con Monaco di Baviera, secondo polo dopo Berlino per concentrazione di mass-media. Per usare le parole di Stefan Willeke, giornalista di Die Zeit che giovedì 17 febbraio ha presentato la tornata elettorale di domenica scorsa, “Amburgo è una allucinazione”. Simbolo della sua “alienazione” rispetto a qualsiasi altra città, tedesca ed europea, è il processo di trasformazione urbana che la interessa a partire dagli anni Novanta relativamente alla zona del porto e che prende il nome di HafenCity. Gli interventi hanno già modificato in modo sostanziale l’intero assetto urbano e spostato il baricentro della vita cittadina e relative funzioni vitali verso il nuovo polo residenziale e direzionale. Sempre secondo Willeke, “il progetto “HafenCity” è doppiamente unico: come esperimento architettonico e come follia sociopolitica. A HafenCity i loft sono così lussuosi e i prezzi così elevati che vi andranno a vivere solo individualisti benestanti e senza figli”.

Il progetto interessa una superficie di 155 ettari: porterà alla creazione di oltre 40mila posti di lavoro tra uffici, negozi e servizi pubblici, 5.500 abitazioni per almeno 12mila abitanti e 24mila posti auto interrati. Un piano faraonico – che amplierà del 40 per cento l’attuale superficie di Amburgo – nato, cresciuto e realizzato secondo i ritmi tedeschi. Per dare forma quasi definitiva a un’idea nata nel 1997 ci sono voluti appena dodici anni: già nel 2006 è stata inaugurata la sede staccata dell’Università (oggi vi si tengono i corsi di Geomatica, Pianificazione urbanistica, Ingegneria delle costruzioni e Architettura); nel 2007 erano già 500 gli abitanti trasferitisi in via definitiva nel quartiere di nuova costruzione nel punto in cui l’Elba sfocia nel mare del Nord. Tutto secondo tabella di marcia, in perfetto stile teutonico: nell’estate del 2009 ha aperto i battenti l’asilo del quartiere, il Kita della Katharinenschule; a settembre dello stesso anno ha avuto luogo la cerimonia ufficiale di inaugurazione della sede dell’Unilever, multinazionale proprietaria di marchi come Algida (Langnese in Germania) e Dove, così come quella del colosso della logistica Kuehne&Nagel. All’appello manca la linea della metropolitana (la U4) ancora in costruzione, con grandi proteste per ritardi di qualche mese accumulati in corso d’opera: la dilazione farebbe sorridere anche il più rigoroso fra i cittadini italiani. Completata invece la Philharmonie, casa da concerti e teatro, edificio velato di vetro all’estremità orientale della penisola che costituisce il cuore del progetto urbanistico.

 

La realtà di HafenCity rischia tuttavia di introdurre un elemento di criticità nell’equilibrio di una città che, oltre ad essere uno dei primi porti del mondo, costituisce uno dei tre poli della Germania (con Berlino e Monaco di Baviera) per concentrazione di imprese di comunicazione (sedi centrali di Spiegel e Bild Zeitung, Axel-Springer Verlag e diverse emittenti radiofoniche e televisive). La minaccia è rappresentata dal rapido sviluppo urbano e urbanistico, che rischia di fagocitare le realtà straniere, altrimenti stabili componenti della società cittadina. I quartieri in espansione lasciano presagire un contrasto con le multiformi realtà della Speicherstadt, la città dei magazzini, dove da decenni sono attivi gli importatori di tappeti iraniani, i commercianti di mobili orientali e i locali per l’intrattenimento di giovani e turisti.

L’urbanistica rispecchia a Hamburg i nuovi equilibri fra la popolazione tedesca concentrata nella zona del Rathaus; gli immigrati di seconda o terza generazione che abitano le periferie e le aree industriali; l’alta borghesia che popola la zona costiera di Blankenese, fatta di ville e residenze eleganti; i nascenti insediamenti abitativi dell’Hafencity, questi ultimi pensati appunto per una classe dirigente moderna e benestante, per famiglie giovani e per una società dinamica. Nel centro della città di Hamburg l’integrazione sembra una realtà: passeggiando sul Jungfernstieg si incontrano negozi di kebab con vetrina e plateatico di fianco alle boutique di abbigliamento di lusso del Binennalster. Un tipo di “geografia commerciale” poco diffuso in Italia, dove al contrario i kebab e i negozi etnici spesso sono considerati realtà economiche da controllare con ordinanze speciali e interventi delle forze dell’ordine: non rappresentano un’opportunità di sviluppo e di integrazione bensì potenziali fonti di degrado. Dal punto di vista residenziale gli stranieri si concentrano nei quartieri di St. Pauli e di Sternschanze, rappresentando quasi un’attrazione extra-cittadina più che una realtà organica ad Hamburg. È qui che vengono i turisti per visitare i locali a luci rosse e gli smart shop lungo la Reeperbahn. E per trovare luoghi di culto islamici bisogna arrivare a Uhlenhorst, nella parte Nord dell’Aussenalster. 

Le sfide che Amburgo presenta alla propria classe dirigente sono molteplici e non tutte di facile soluzione. Prendendo a prestito la conclusione  di Willeke su Die Zeit, rivolta al neo sindaco Scholz, potremmo dire “Olaf, jetzt du”: “Olaf, adesso sta a te”.

Ti potrebbe interessare

L'addio al re del country