Marò, la contro-inchiesta

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Quasi mai una vicenda ha polarizzato l’opinione pubblica come quella dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, detenuti in India con l’accusa di omicidio e (forse?) terrorismo. Tanti fatti nuovi sono intervenuti da quando ci occupammo del caso (parlando di parole date e non mantenute, o di chi avrebbe dovuto giudicarli), uno è incontrovertibile: il tutto sembra fatto per mettere in ridicolo la politica estera del nostro Paese. E’ cambiato il ministro che si occupa della vicenda, non è cambiata la confusione che regna sovrana: se qualcuno o qualcosa riporterà in Italia i due marò, sicuramente non sarà la capacità internazionale italiana, questo sembra un dato di fatto. Anche se ora interviene l’Unione Europea: l’immobilismo indiano è una sfida alla giustizia, al buon senso, e anche alla nostra pazienza.

India, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre trasferiti in carcereVogliamo oggi però suggerirvi una contro inchiesta: quella di Matteo Miavaldi che compare sul sito di Wu Ming Foundation. E’ un contributo alla discussione. Si prende di mira l’opinione pubblica italiana: la campagna per il salvataggio dei due fucilieri di marina italiani si basa, a  quanto pare, anche su informazioni non proprio esatte, su imprecisioni che continuano ad essere propagandate.  Ciò non aiuta certo il nostro Paese: forse vale la pena di informarsi fino in fondo, farsi un’idea completa del tutto.
Buona lettura.

di Matteo Miavaldi (guest blogger)

Il caso Enrica Lexie, dopo due anni, si sta avvicinando alle fasi finali, dopo una serie di rinvii e complicazioni diplomatiche, mistificazioni e propaganda elettorale tanto in India quanto in Italia: elementi che hanno aperto la strada alla “narrazione tossica” della vicenda dei due marò, strapazzata da un’informazione generalmente superficiale e, in alcune circostanze, platealmente nociva.

Poco più di un anno fa, qui su Giap, pubblicammo due lunghi(ssimi) articoli, molto densi di dati e fonti, che smontavano punto per punto la ricostruzione offerta da Il Giornale, Libero e Il Sole 24 Ore: una storia che si basa sulle teorie raffazzonate del sedicente “ingegnere”Luigi Di Stefano, dirigente nazionale di Casapound.

Quei due post si sono presto trasformati in un’inchiesta collettiva, e hanno avuto un numero esorbitante di visite e condivisioni sui social media. Il primo dei due è stato visitato da oltre mezzo milione di IP unici, e ogni giorno continua ad attirare lettori.
Da quei post è nato anche un libro, presentato in giro per l’Italia e recensito su importanti testate nazionali.

1. Il peccato originale, ovvero: che ci facevano i marò sull’Enrica Lexie?

Inserendo l’incidente tra il peschereccio St. Antony e la petroliera Enrica Lexie all’interno della lotta alla pirateria internazionale, l’impressione data in Italia è che l’India – cercando di perseguire per legge l’operato dei due fucilieri – stia intralciando gli sforzi internazionali della Nato e dell’Onu a contrasto della pirateria, mettendo automaticamente a repentaglio l’immunità di tutti i nostri soldati impegnati in missioni internazionali.

L’Italia, con la Marina Militare, partecipa attivamente – da anni – a due operazioni internazionali di contrasto alla pirateria: Atalanta, dell’Unione Europea, e Ocean Shield, della Nato. Entrambe le operazioni si concentrano in un’attività dissuasiva e di monitoraggio del Mar Rosso e del golfo di Aden, al largo della Somalia, dove il rischio pirateria è maggiore. I militari, a bordo di navi da guerra, scortano i cargo di passaggio e pattugliano le acque limitrofe.

Come si legge sul portale della Marina Militare:

«Il suo [dell’operazione Atalanta, ndr] mandato consiste nel proteggere le navi mercantili che transitano da e per il Mar Rosso ed inoltre svolge attività di scorta alle navi mercantili del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, incaricate di consegnare aiuti alimentari in Somalia […] La Marina Militare partecipa all’Operazione Ocean Shield con unità navali inserite nella forza navale SNMG1 o SNMG2.»

Quindi l’Italia, quando partecipa come nazione alle operazioni internazionali di contrasto alla pirateria, lo fa con e su navi da guerra.

I marò a bordo dell’Enrica Lexie, invece, tecnicamente non partecipavano a nessuna missione internazionale.
Nel 2011 il Ministero della Difesa e Confitarma, la Confederazione Italiana Armatori, hanno firmato un’intesa, seguita da unaconvenzione, che permetteva, agli armatori che ne facessero richiesta, di imbarcare dei Nuclei Militari di Protezione (Npm) formati da fucilieri di Marina, impiegati in servizio anti pirateria a difesa, quindi, di navi commerciali italiane, ma private (nel caso specifico della Lexie, di proprietà dell’armatore Fratelli D’Amico).

Una legge votata a larghissima maggioranza (493 voti favorevoli, 22 contrari, 15 astenuti) che l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa oggi rinnega a mezzo stampa, citando le perplessità espresse già nel febbraio 2011.

La protezione delle attività commerciali su navi cargo italiane veniva quindi “appaltata” a personale militare pagato, secondo quanto sancito dall’addendum alla convenzione, 467 euro a testa per giorno di navigazione.

Questo, legalmente parlando, è il “peccato originale” commesso dall’Italia: aver esposto i propri militari in attività private che non rientrano in operazioni internazionali, non vengono condotte su mezzi militari e ricadono in una zona grigia del diritto in cui l’India ha potuto, a rigor di legge, non applicare l’immunità funzionale garantita al personale militare all’estero poiché difendere la merce e gli interessi di privati non dovrebbe essere il lavoro dei soldati, ma quello dei contractor.

Un unicum a livello internazionale molto pericoloso, come ha spiegato il security advisor Antonio De Felice, in un’intervista contenuta nel saggio I due marò – Tutto quello che non vi hanno detto.

Continua la lettura sul  sito di Wu Ming Foundation.

 

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