Parte la caccia a Kony: due domande da porsi

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Dopo la caccia sulla rete è in iniziata quella reale – annuncia corriere.it – Anche gli Usa hanno inviato cento berretti verdi (le United States Army Special Forces), per aiutare a prendere Kony, il generale ugandese a capo del Lord’s Resistence Army (Lra), ricercato dal Tribunale dell’Aja per l’utilizzo massiccio di bambini soldato nel centrafrica diventato noto al grande pubblico americano dopo i video della Ong americana Invisible Children”.

La campagna Stop Kony 2012 quindi, fatta di video virali e mobilitazioni sui social network, registra il suo primo successo. Ne avevamo parlato già nelle scorse settimane, in occasione della pubblicazione della seconda puntata del video, che vi invitiamo a rivedere. Una formidabile operazione di campaigning e di marketing. Che ora il primo effetto lo ha ottenuto: destinare una parte, pur minima, dell’apparato militare statunitense alla caccia di un criminale ricercato dalla corte internazionale di giustizia dell’Aja.

In sè la cosa è senz’altro positiva e non può che far piacere. Ma pone, ed è meglio porseli, alcuni quesiti sul precedente che il caso Kony sta costruendo. Invisible Children è riuscita in poco tempo e con risorse da quantificare, là dove associazioni che contano migliaia di attivisti non erano riuscite. A mobilitare l’opinione pubblica statunitense e smuovere la politica. E’ un bene. Forse sì, o almeno in questo caso. Ma saranno le campagne di questo tipo, basate su una mobilitazione emozionale e virale, d’ora in poi a decidere chi deve essere cacciato, a chi bisogna fare la nuova guerra? Se sì, forse, caso Kony a parte, bisogna attrezzarsi per vigilare bene…

Lu.B.

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