Giovinazzo: la (vera) storia della città del (finto) "assalto" al reddito di cittadinanza

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Il posto nelle foto qui sotto è Giovinazzo, la cittadina in provincia di Bari dove, secondo una articolo della Gazzetta del Mezzogiorno di ieri, poi rilanciato da tutti i media, molte persone avrebbero chiesto agli sportelli del Caf come poter accedere al “reddito di cittadinanza”. Il fatto era stato riportato dal quotidiano barese nell’ambito di un approfondimento sui problemi dei Caf e del lavoro (qui la pagina in pdf) ma è stato poi ingigantito da giornali nazionali e commentatori.

La notizia – come capita quando le notizie combaciano perfettamente con gli stereotipi che ha in testa chi le legge – ha suscitato reazioni sarcastiche, classiste, razziste, editoriali un po’ scandalizzati sui maggiori quotidiani. “Ma pensa te che ignoranti, non possono educatamente attendere che si insedino il Parlamento e il Governo? Ma non l’hanno letta la Costituzione?” Toni che mi divertono molto quando li leggo su pagine (che ritengo o leggo come) satiriche quali Gli eurocrati o Tecnocrazia e Libertà, ma che mi preoccupano quando arrivano da chi si ritiene la parte “progressista” del paese.

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Conosco (un po’) Giovinazzo per avervi girato qualche anno fa con Marina Resta un documentario, L’acqua calda e l’acqua fredda, che racconta la storia delle AFP, le Acciaierie Ferriere Pugliesi (ne abbiamo parlato più estesamente qui su A Nordest Di che): un’industria privata che ha occupato mille persone per decenni, fondata agli inizi del ‘900 e chiusa all’inizio degli anni Ottanta, dopo proteste, lotte, occupazioni dei binari. Una storia di lavoro, organizzazioni operaie e battaglie per la salute, “welfare aziendale” ante litteram (la squadra di hockey del paese si chiama ancora oggi AFP). Oggi è il rudere che vedete nella foto a sinistra, in attesa di bonifica dei terreni fortemente inquinati, a pochi metri dalle case.

Dagli anni Ottanta ad oggi Giovinazzo vive un lento declino, da quando ha perso la sua principale fonte di lavoro è come se non trovasse più un’identità. I redditi un tempo erano fra i più alti della provincia (più alti di quelli garantiti dal settore pubblico), oggi via via si adeguano verso il basso, man mano che gli ex operai muoiono. I loro figli trent’anni fa hanno cominciato ad andarsene in gran parte al Nord. Molti si sono stabiliti qui a Vicenza a lavorare in un’altra acciaieria, la Valbruna, dove spesso sono impegnati nel sindacato: alcune di queste storie le raccontiamo nel film.

L’altra foto è il porto di Giovinazzo: sulla destra si intravede la cattedrale e il centro storico. Bellissimo, e negli ultimi anni in buona parte restaurato: fatto positivo, perché l’economia turistica, insieme all’agricoltura, è una delle strategie con cui la città sta tentando di riacciuffare lo sviluppo, ma che porta con sé incognite, perché se le case se le comprano i russi ricchi, per chi ci abitava a parte venderle i vantaggi non sono poi così tanti.

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Vi invito a riconsiderare la notizia del presunto “assalto” ai Caf considerando questo background. È la storia di una deindustrializzazione e della fine del benessere (che è poi anche un po’ la fine del Cetomedio, ma questa è un’altra storia). In fondo è la storia che tocca un po’ tutta l’Italia degli ultimi 10 anni, Veneto compreso. Magari la voglia di fare sarcasmo passa almeno un po’.

La terza foto è di Predrag Matvejević, intellettuale bosniaco morto l’anno scorso autore di “Breviario mediterraneo”, una scorribanda storico-letteraria fra le sponde del “mare nostrum” dove si scoprono un sacco di punti in comune fra posti distanti centinaia di chilometri. È scattata nel porto di Giovinazzo, un posto che pare amasse molto (in altre foto, se cercate su Google, ci fa pure il bagno).

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Giulio Todescan

 

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