Senegalesi in piazza, Casapound, la crisi, noi

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Qualcuno oggi si stupirà pure. In piazza dei Signori a Padova, in piazza Bra a Verona sfileranno cittadini di origini senegalesi. Dopo la strage di piazza Dalmazia a Firenze denunceranno il razzismo strisciante della nostra società.

“Firenze, come Torino, come Liegi, come Oslo” – dicono Beati i costruttori di pace in un comunicato diffuso ieri. E hanno ragione. E’ la stessa follia recessiva di una società occidentale impaurita e reclinante che ha portato a questo massacro.

Ora qualcuno, a sinistra, pensa che la soluzione sia chiudere: Casapound e altro. Io credo che sia una cazzata da codice Rocco. Credo che il problema sia piuttosto aprire. Aprire spazi a chi abbiamo considerato finora solo presenza temporanea e invece sono semplicemente Nuovi Italiani. Sono qua, e ci rimarranno. A lungo. Così come molti di noi che invece ora sono all’estero (scrivono ogni giorno su questo sito), con buona pace di madri e padri, non torneranno se non per i regali di Natale. Proprio perché questa società non ha saputo offrirgli un futuro alla loro altezza.

Se penso a un cittadino immigrato e all’Italia di oggi non credo che il suo problema sia Casapound. E non perché io apprezzi particolarmente questa organizzazione, ma perché l’estremismo non è il problema della nostra società. L’eccezione è spiacevole, ma può essere arginata, combattuta, limitata. Il problema è la tremenda normalità del nostro Paese. Ora che abbiamo finito di raccontarci che questo è l’Eldorado, possiamo pure ammetterlo: se è un Paese difficile per un giovane nato qui, non lo sarà forse doppiamente per un giovane dalla pelle scura arrivato chissà come?

Il problema della nostra società è la pancia, la discriminazione legale e lo sfruttamento quotidiano. E non dei “negri”, ma dei poveri. Italiani inclusi. Senza voler santificare nessuno, tantomeno i cittadini che sono immigrati nel nostro paese, li stiamo ancora considerando come vent’anni fa. Ospiti, neppure tanto graditi. Non ci siamo “arresi” al fatto che siano parte integrante della nostra società, persone portatrici sane di diritti e doveri.

Nessuno l’avrebbe previsto, nessuno se l’aspettava. Di fronte alla enormità dei fatti preferiamo ricorrere all’autoassoluzione della nostra società, isolando quanto accaduto come prodotto della follia di singoli – continua Beati i costruttodi di Pace – Basterebbe ripercorrere il bestiario di quei politici, che per ottenere i voti hanno incentivato le paure, solleticato l’immaginario giustizialista della popolazione e operato solamente con leggi repressive nei confronti dei migranti. Basterebbe riprendere le ordinanze dei sindaci che si accaniscono contro le condizioni dei piu’ poveri, sia per la presenza nel loro territorio, che per le attivita’ di sopravvivenza. Basterebbe analizzare come nei mezzi di informazione vengano privilegiate le notizie negative su sinti, rom e migranti. Basterebbe riportare i fatti che quotidianamente avvengono negli autobus, come nei treni, al bar come negli uffici e ascoltare commenti e giudizi ovunque. Anche l’assolutizzazione dell’economia con leggi per suo conto, senza alcun riguardo per le vicende delle persone, concorre non poco a questo clima di societa’ senza pieta’.  Non sara’ una condanna, per quanto ferma e decisa, a raddrizzare la situazione, ma ricominciare ogni giorno tutti con energia a riconoscere la dignita’ di ogni persona, a porre segni quotidiani  di condivisione materiale e sociale, spingere le istituzioni perche’ si adoperino per l’interazione sociale, partendo da chi e’ messo peggio”.


Luca Barbieri

Ti potrebbe interessare

Tacheles, la fantasia in piazza
Ciclofficine popolari contro la crisi
Visti da là
Barcelona, dentro la crisi
La vignetta spezzata