Sommelier a Singapore

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Il 29 Agosto si e’ svolta a Singapore, organizzata da Magnum Spirits & Wines, la finale della Singapore Sommelier’s Challenge. Oltre 50 dei piu’ promettenti sommeliers di trentasei tra i migliori ristoranti Singapore erano sono stati invitati il 22 Agosto a competere. Il 29, i 10 finalisti selezionati hanno fatto una degustazione cieca di 6 vini, ospitati ciascuno in una cabina del Singapore Flyer, la ruota panoramica costruita nell’anno 2009.

Alla fine della degustazione, i 10 finalisti selezionati tra i piu’ di 50 partecipanti iniziali partecipanti sono scesi dalla ruota per essere esaminati scegliendo una busta a caso contenente alcune domande.

I primi tre sommeliers esaminati, e le loro risposte, sono stati a mio avviso molto interessanti, non tanto dal punto di vista tecnico-enologico, quanto piuttosto perche’ hanno messo in luce delle situazioni nuove, tipiche di questa parte del mondo, e i diversi modi di gestirle di sommelier con percorsi di vita diversi tra loro. Il primo era un Singaporiano della locale scuola alberghiera Shatec. Alla domanda su che cosa ne pensasse dei tappi svitabili di metallo confrontati con il tradizionale tappo di sughero, il Singaporiano ha risposto balbettando, un po’ impaurito dal fatto di essere esaminato: rendono il servizio piu’ semplice e piu’ veloce, mi piaciono. Inoltre, poiche’ le bottiglie tappate con il sughero devono essere conservate coricate per permettere al sughero di restare umido e non seccarsi fino a disintegrarsi, le bottiglie col tappo a vite di metallo presentano un vantaggio di spazio nel modo in cui vengono immagazzinate perche’ si possono semplicemente impilare nei cartoni. Approccio al vino prettamente utilitaristico e commerciale, slegato dai modus tradizionali dell’ambiente in cui il vino e’ prodotto. Per i Cinesi di Singapore piu’ le cose sono semplici e funzionali, meglio e’. Non hanno il gusto della complessità, ne’ li aiuta il sottofondo culturale buddista che sostiene che in fondo, tutto è illusione quindi nuIla ha importanza.

Il secondo intervistato e’ stato un sommelier Giapponese, il sig. Karei che ha detto di essere venuto a lavorare a Singapore per il rinomato gruppo Les Amis perchè mentre in Giappone si parla solo Giapponese e si incontra una mentalità molto insulare, a Singapore si parla l’Inglese e si è in contatto ed aggiornamento con realtà e situazioni provenienti da tutto il mondo. Dunque per lui Singapore è chiave per accedere alla globalità. Alla domanda su quando lui ritenesse opportuno decantare il vino ai suoi clienti il sig. Karei, sempre sorridendo, come fanno i Giapponesi, ha dato una risposta alquanto articolata dicendo che, professionalmente, se il vino ha una certa età, come ad esempio l’annata 1928, decantarlo significherebbe esporlo ad un’ossidazione troppo veloce e distruggerlo. Di fronte però alle richieste di un cliente facoltoso, desideroso di decantare il vino, il sig. Karei “metterebbe da parte la sua opinione per prendere in prestito l’opinione del cliente”, bellissimo modo diplomatico di dire che se uno non sa nulla di vino ma vuole solo apparire importante per il prezzo che paga, lo si può lasciare apparire, tanto paga. Ugualmente se il cliente non è davvero ricchissimo ma e’ in qualche modo degno di considerazione, gli si può far decantare un vino che non ne abbia bisogno, solo per far sembrare al cliente di essere importante.

L’Asia è il continente della “faccia”, idea lontanamente simile al concetto italiano di “bella figura”. Dico lontanamente perché il senso estetico italiano e quello asiatico sono piuttosto diversi. L’Asia è piena di nuovi ricchi: milionari giovani che si sono fatti da se’ grazie ad un’idea semplice magari, ma che non esisteva prima la’ dove si trovavano, idea portata avanti con duro lavoro o con furbizia o anche con entrambi, e, grazie alle condizioni della società ora lanciata verso uno sviluppo caotico e crescente, vincente. Condizioni alquanto precarie fino a pochi anni fa, in un momento un po’ simile al transito che fece l’Italia da società agraria degli anni Cinquanta a società industriale degli anni Sessanta con le fabbrichette brianzole, ma su scala molto più vasta e con strumenti contemporanei, piu’ efficaci delle tecnologie disponibili in Italia negli anni Sessanta. Questa gente è persuasa di aver diritto a godere di tutte le cose eccellenti che il Pianeta mette a disposizione. Il vino è una di queste eccellenze però per loro è anche un terreno minato: tutti vogliono sembrare intenditori, molti studiano le guide dei nuovi magister elegantiarum per poter dire cosa va e cosa non va e quasi tutti non sanno nulla. Se una bottiglia ha un prezzo elevato e tutti vogliono quell’etichetta, allora si prende, per non rischiare mai di perdere la faccia apparendo incompetenti. Il vino dunque non è buono perché piace al gusto individuale, ma perché si dice che deve essere cosi’. Diventa, il vino, pura operazione di marketing e mezzo di ostentazione della ricchezza.

Al terzo intervistato, che lavora come sommelier della Brasserie Wolf, il sig. Heindl dal Tirolo austriaco, e’ stato chiesto se è vero che il vino fa bene e se tutto il vino fa bene. Lui competentemente ha risposto che il vino rosso fa bene preso con moderazione in quanto contiene degli antiossidanti che provengono dalla buccia, mentre il vino bianco non li ha. Abituato alle uve italiane e a quelle della sua terra, oltre a tutti gli uvaggi francesi, il sig. Heinld ha inoltre aggiunto, totalmente in controtendenza, che secondo lui un vino molto adatto a Singapore è il vino rosato secco, che lui ama molto, mentre i Singaporiani sono di solito mal guidati a credere che il vino rosato debba essere dolciastro e preferiscono, anche con questa temperatura equatoriale, bere vini rossi di corpo ghiacciati. Qui il signor Heindl, che vende al bicchiere benissimo nel suo locale il vino Lacrimarosa di Mastroberardino, ha dimostrato di essere un sommelier legato ad un’Europa che produce vino e ai fatti, non soggiogato alle necessità del marketing di chi non conosce il vino da sempre come i due sue colleghi asiatici. Capire la differenza tra i modi di percepire il vino può essere la chiave per una commercializzazione più efficace. Il proverbio “Tutto il mondo e’ paese” vale fino ad un certo punto. Il mese scorso, nell’ambito degli eventi per il 150 anniversario dell’unificazione italiana, il defunto Istituto per il Commercio Estero ha organizzato una promozione dei prodotti pugliesi in varie capitali asiatiche, inclusa Singapore, stampando degli opuscoli dal titolo DOP Italia Asia con il patrocinio del Consorzio di Tutela Oliva da Mensa D.O.P. La Bella della Daunia, Cultivar Dama di Cerignola e del Consorzio per la Tutela e valorizzazione del pane di Altamura a DOP. L’ICE ha invitato ad un pranzo delizioso organizzato in un ristorante pugliese vari importatori, ristoratori, chefs e tra un piatto e l’altro e’ stata spiegata la peculiarita’ delle olive e del pane.

Mi ha colpito in particolare nella presentazione delle tradizioni pugliesi una frase piu’ volte ripetuta da un membro della delegazione pugliese: il cibo e’ amore. Questo momento, percepito come qualificante, di chi cucina per te e ti nutre, è filosoficamente incomprensibile a Singapore. Gli eredi di contadini senza terra emigrati in cerca di sopravvivenza, abituati a saltare i pasti perché non avevano un genitore in grado di nutrirli, difficilmente possono accedere al concetto che “il cibo è amore”. In Italia, incontrando qualcuno, gli si chiede “come va?’ o “come stai?”, e in molti Paesi europei il concetto è linguisticamente simile. Nel Sud Est Asiatico la domanda e’ atavica: “hai mangiato?”. Non significa “hai mangiato?” ma significa “come stai?“. In Italia i genitori cercano di far studiare i figli, pagandogli l’università. Qui in Sud Est Asiatico il valore confuciano della pietas filiale spinge i figli a lavorare per i genitori, non il contrario, in Paesi che sono stati colonizzati e dove il concetto di pensione spesso non esiste. Il pranzo organizzato dal Dr. Sponzilli, ex direttore della sezione ICE di Singapore, è stato impeccabile. Antipasto pugliese, bisque di aragosta, orecchiette al ragu’ di agnello, merluzzo ai pomodorini, tiramisu, frutta fresca equatoriale e caffè.

Quando sono tornato a casa mi lacrimavano gli occhi. Dalla soddisfazione?

Nel mese dei fantasmi affamati, secondo la superstizione della Cina meridionale, bisogna fare loro molte offerte per placarli e i miei vicini di casa cinesi stavano appunto bruciando quantita’ industriali di offerte di carta al lato della strada. Il fumo negli occhi davvero non mi piace.

Giovanni Lombardo

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