Sul treno fate salire anche il silenzio

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

I viaggi di lavoro infrasettimanali sono una corsa contro il tempo. Sveglia presto, caffè, vestiti, chiama bambini che non si vogliono alzare, tira giù dal letto bambini che decidono che proprio quella mattina devono fare tutto al rallentatore, infilagli in bocca la brioche che gli piace di più così niente storie, insaccali dentro il grembiuli, infilali in macchina e portali all’asilo e poi corri verso la stazione dei treni.

E intanto pensi a tutto quello che hai dimenticato, e pensi anche “massì, sto via due giorni”. Il tutto mentre ti avveleni nel traffico e per un parcheggio a tre chilometri dalla stazione, corri, sgomiti per comprarti un fiume di giornali. “Ho tre ore davanti e voglio leggermi tutto quello che normalmente non riesco a leggere”. Giornali, borsa, trolley, sciarpa, giubbetto e corri verso il binario. Aspetti. Un minuto ma aspetti. E’ in quel momento che pensi. “Ahhh finalmente tre ore per me, il cellulare non prende quasi mai, il computer non lo voglio accendere, leggerò, cullata nel silenzio della frecciargento, ogni tanto guarderò fuori, con uno sguardo romantico tipo “orgoglio e pregiudizio”, fingendo di pensare a qualcosa di profondo poi tornerò con sguardo leggero verso i giornali”. 

 

E mentre questo pensiero ti solleva dalla precedente ora infernale, arriva lui. Bello, affusolato, già silenzioso anche tra i binari. Si ferma davanti a te come una piuma d’acciaio. Entri, cerchi il tuo posto e ti siedi. Ti guardi attorno consapevole delle prossime tre ore, il “tempo per te” che normalmente è inquinato da vaghi sensi di colpa (dovrei lavorare/stare con i bimbi/stirare/fare la spesa) per cui non te lo godi. Ma il viaggio in treno per lavoro entra nel gioco, non ci puoi far niente, zero sensi di colpa. Il treno parte. Cominci a goderti il paesaggio.

Ma ad un certo punto c’è qualcuno che mette le campanelle nella filodiffusione ad un volume assurdo: è la “signorina Trenitalia” che ti saluta, ti augura buon viaggio e ti fa l’elenco di tutto quello che puoi mangiare al servizio bar. UUUfff. Zittaaa. Bene, finito. No. Ora c’è il “signor trenitalia” che ti dice le stesse cose in inglese ad un volume da stordimento. Zitti tutti! ecco. Fine. Ahh. Pace. No. Seduta in fianco a te c’è una ragazzina supertecnologica con pc, blackberry, hard disk esterno e un sacco di problemi da risolvere. La giovane profumata fino allo stordimento, piastrata e griffata non riesce a scaricare il programma che le serve e quindi chiama al telefono il suo amico esperto (eh , chi non ne ha uno? io!) che le spiega F2, control-canc, control F3 cmd, F12 resetta .. reimposta .. “Non va!” urla lei. Tutto in un’ora in cui ti ha trapanato il cervello e tu non sei riuscita a leggere una riga e sei già quasi a Bologna.

Nel frattempo c’è un politico romano seduto tre sedie più avanti. Ora vi chiedo, amici  romani, perché urlate sempre così tanto? beh essendo io giornalista la sua versione sulla Fiducia al Governo potrebbe anche interessarmi. Solo che da quello che dice non si capisce se è di centrodestra o centrosinistra. Il che, se ci pensiamo bene, è abbastanza inquietante. Mentre ho la tipa che smadonna sul pc e il politico sulla Fiducia, c’è la signora anziana poco più indietro: le squilla il telefono con al suoneria dei Muse. Ora dico, quale diavolo di nipote può voler molestare la nonna/zia in questo modo?

I Muse vanno a tutto volume perché la nonnina-zia

a. non capisce che è il suo,

b.capisce che è il suo quando tutti la guardiamo con sguardo cattivo,

c. cerca disperatamente il cellulare nella  borsetta, e quando lo trova smette di squillare.

Poi riparte. Salta la fase “a” e si ripetono il b e il c.

Ragazza tecnologica, politico sulla Fiducia, nonnina dei Muse. Siamo a Firenze. Corriere della sera, La Stampa, Repubblica, Il Fatto, l’Espresso sono tutti lì che mi guardano, intonsi. Ma dov’è la pace, il silenzio… dov’è il dolce cullamento, dov’è lo sguardo da Ragione e Sentimento. Uff. Ma sono l’unica a stordirsi in tutto ‘sto casino? no. C’è una coppia di stranieri in dall’altra parte del corridoio. Allucinati come me. All’ennesimo squillo dell’avvocato in testa alla carrozza, che discute la causa di separazione tra il cliente l’aguzzina dell’ex moglie, io e gli stranieri ci guardiamo con lo sguardo della Cortellesi quando imita la Santanchè che sente parlare di Fini. Avvelenati, vampirizzati, stanchi, storditi.

Scambio due parole nel mio inglese così così. “Di dove siete?” “Neederland”, e con un senso di colpa che mi fa abbassare la testa tra le spalle dico “Gran casino stamattina eh?”, e loro “Beh siete italiani” e ridono come se fossimo una macchietta. In circostanze normali mi sarei offesa, ma hanno ragione. Si chiamano Luiselle e Markus, stanno andando a Roma in vacanza. Hanno in mano la guida routard, aperta alla stessa pagina da Venezia. Io gli sorrido e dico, “chiedo scusa a nome di tutti, non siamo tutti così”, loro ridono capendo il mio imbarazzo e sono davvero teneri perché mi dicono di non preoccuparmi, mi fanno capire che per loro anche questo entra nel pacchetto turistico dell’italianità.

Cioè sentire gli italiani maleducati in treno fa parte della “cultura” italiana che gli stranieri assorbono qui. Rendiamocene ben conto perché siamo la culla della civiltà, perché siamo stati l’impero romano, abbiamo opere d’arte che nessuno al mondo ha, paesaggi unici, da Roma alle Dolomiti, Firenze, la Maremma, il Chianti e poi Venezia, Trieste,  abbiamo il golfo di Sorrento, la Sicilia e la Sardegna e i borghi abruzzesi, la Puglia.

E ora metteteci dentro anche Trenitalia, ragazzi. Dove facciamo la figura delle marionette. Cullata da questo inebriante e pensiero arrivo a Roma, congelata, tra l’altro, perché il signor Frecciargento ci vuole tutti belli freschi e per cui l’ara condizionata in treno a e -7, come le bistecche. Scendo dal treno con i mie giornali puliti e nuovi. E come ogni mattina leggerò in velocità le prime pagine, poi in velocità gli articoli che mi interessano. Il resto in pausa pranzo. Alla faccia del relax del viaggio in treno.

Ma perché non siamo capaci di stare in silenzio, almeno lì due-tre ore? perché il signor Trenitalia non mette i cartelli “SILENZIO PER FAVORE”. Due ore, massimo tre, cosa ci cambiano? perchè parlare..lavorare..chiacchierare è sempre la nostra necessità primaria? perché in treno non leggete i giornali? leggeteli! almeno lì! almeno così contribuite al mio stipendio! uuufff. 

Roberta Polese

Ti potrebbe interessare