Tarlabaşı: “gentrificazione” nel cuore di Istanbul

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Se Tarlabaşı, lo storico quartiere greco-armeno di fine ‘800 nel centro di Istanbul, avesse un profilo facebook, la sua relazione con il suo comune, Beyoğlu, un comune nel centro della metropoli di Istanbul, potrebbe essere descritta così: it’s complicated!

Non solo perchè da quattro anni Beyoğlu non fornisce a Tarlabaşı i servizi che invece eroga in altri quartieri, come l’asporto rifiuti o la regolarità dell’illuminazione stradale, ma soprattutto perchè sulla parte Nord di Tarlabaşı coleranno presto fiumi di cemento. Così almeno lascia intendere l’ultima sentenza del tibunale che chiude il ricorso fatto da Kemal.


Le voci correvano da tempo, ma solo a settembre, pochi mesi dopo le elezioni, Kemal e sua moglie Grazia (nomi di fantasia) assieme ad altri 278 proprietari si vedono recapitare l’avviso di sfratto dalla loro palazzina a Tralabaşı. Per il Comune di Beyoğlu si tratta della ristrutturazione di alcuni isolati. Ma col passare dei mesi al posto di restrukturasyon nel sito-web che promuove il progetto e nei cartelloni pubblicitari comparsi in città si parla di yenilme: nuova costruzione. Infatti nel nuovo progetto sono presenti un centro commerciale, un albergo di 10 piani e un residence, che poco hanno a che fare con il mantenimento del tradizionale carattere residenziale del quartiere le cui case non superano il quinto piano.

Tarlabaşı risuona di storia ed emozioni: da quando, a seguito delle politiche di nazionaliste messe in atto dagli anni ’30 agli anni ’60, i greci sono partiti, nelle stradine interne si svolge la vita di famiglie curde e rom e, recentemente, di immigrati iraniani, africani o si incontrano studenti erasmus in cerca di un appartemento a buon mercato in un quartiere ‘tipico’: ragazzini giocano a palla sotto una fila di panni stesi e scovano nella spazzatura qualcosa da rivendere, donne dalle quattro sottane lavano i tappeti in strada o abbrustoliscono una melanzana sulla griglia. La notte nei seminterrati di Tralabası Bulvarı trovano spazio bar dove si raccomanda di non entrare.
Nei nuovi cartelloni che presentano la città che verrà costruita, al posto dei ragazzini con sul viso i segni della vita di strada i designer hanno piazzato pallidi uomini con ventiquattrore e completo bege; al posto delle donne con capelli coperti da fazzoletti colorati, signore in tailleur e smart-phone che camminano su marcipiedi tirati a lucido.

Che Tarlabası avesse bisogno di una ristrutturazione era chiaro: da sei anni non viene permesso ai proprietari di sistemare le proprie case (-per il rischio di rovinare il patrimonio storico- diceva il sindaco) e Tarlabaşı viene bollato come quartiere degradato o, per usare le parole del Primo Ministro, come un “cancro” nella bella Istanbul.

Per usare una parola della sociologia urbana il rinnovamento di Tarlabası non è altro che un progetto di gentrificazione: un processo dove benestanti venuti da fuori (gentry, in inglese indica la piccola nobiltà) si stabiliscono in un quartiere storico dimora di persone meno abbienti. Un processo in cui sono coinvolti molti centri urbani, anche in Italia. Ma oltre al processo di gentrificazione, che in sè rende fisicamente evidente le contraddizioni culturali ed economiche di Istanbul, si celano manovre ben poco trasparenti.
A settembre Kemal si vede offrire 180.000 Lire turche (circa 76.000 Euro) come indennizzo per l’esproprio per il suo appartamento a Tarlabası, un decimo del suo valore di mercato. Molti proprietari nella stessa situazione, non osando cercare alternative al diktat, accettato la vendita coatta. Altri, con Kemal in testa, si organizzano in un comitato e decidono di intraprendere le vie legali. Mobilatano l’UNESCO e Amnesty International che si muovono per tutelare il patrimonio storico architettonico e i diritti alla casa.

“È stato difficile trovare tutela legale perchè nessun avvocato di Istanbul vuole avere problemi con l’amministrazione della città” confessa Grazia “siamo dovuti ricorrere a un avvocato dell’est della Turchia. Ma poi abbiamo vinto la causa: il tribunale ha sentenziato che il rimborso per l’esproprio era troppo basso e ha obbligato il comune a triplicare il risarcimento”. Ma Grazia e suo marito sperano di bloccare il cemento e di rimanere proprietari della casa appellandosi all’articolo 17 della carta dei diritti umani che garantisce il valore inalienabile della proprietà privata se non per motivi di utilità comunitaria. E la costruzione di un nuovo residence per ricchi non rientra tra questi.
Il sindaco di Beyoğlu Ahmet Misbah Demircan sostiene di aver cercato un accordo con i vecchi residenti offrendo loro appartamenti nella nuova città che sorgerà, in cambio della vendita della vecchia casa. Peccato che l’associazione dei residenti dichiara di aver avuto l’offerta di monolocali di 39 mq in cambio dei vecchi appartamenti di 200 mq. Un altro argomento adottato dal sindaco è la presenza di case occupate, ma secondo Kemal si tratta di 3-4 case, su più di 270 immobili abitati con regolare contratto.

Il comune si appella alla legge 5366 “Legge sulla preservazione attraverso il rinnovo dei beni storici deteriorati” varata poco prima del progetto della nuova Tralabası e che lo autorizzerebbe a esporiare immobili. Il diritto di esproprio è stato esteso a tutti gli immobili a rischio eco-geologico dopo il recente terremoto di Van. Visto che buona parte del territorio turco è a rischio sismico addirittura il TMMOB, l’associazione degli architetti e degli ingegneri, ha espresso forti dubbi sulla legalità di questa legge, mettendo in guarda sui rischi di speculazioni e frodi.
Anche secondo Grazia, gli interessi del Comune si perdono in un intrigo di interessi politico economici. Basti pensare che la “ristrutturazione” è affidata al gruppo Gap, che fa parte dell’Impresa Çalık, il cui proprietario è il genero del premier Recep Tayyip Erdoğan. Secondo Grazia: ‘Il comune espropria con una legge ad hoc una zona residenziale al centro di Istanbul. Ne affida il risanamento (molto drastico) all’azienda della famiglia del primo ministro che ne acquista i terreni e vende appartamenti ed alberghi a ricchi investitori‘. Di fronte a questo ghiotto affare diritti umani (soprattutto se di minoranze etniche) e la tutela dei beni architettonici possono passare in secondo piano.
Così mentre tutti a Tarlabase si sono trasferiti, Kemal e Grazia continuano a stare nella loro palazzina. I lavori iniziano ad aprile. A fine marzo il risarcimento non è ancora arrivato. -Forse un buon segno, forse i lavori non partiranno- sperano Kemal e Grazia. Ma un giorno, tornati dalle feste pasquali, trovano la casa saccheggiata. L’appartamento è stato svuotato da ignoti che hanno divelto il portone con picconi e mazze, danneggiato infissi e bucato i muri.
Presto una palla di ferro di qualche tonnellata entrerà nella facciata della loro casa sfasciando il resto. La battaglia di Grazia e Kemal va avanti, almeno per recuperare il risarcimento sentenziato dal tribunale. Ma la speranza di giustizia si affievolisce.

Nicola Brocca (foto di Luise Veit)

Leggi il blog: Istanbul Gran Bazar

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