Trolley generation: viaggiare leggeri

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Salgo sull’aereo stringendo il mio nuovo smartphone. Aspetto che esso decolli e lo accendo in modalità volo. Stringendo in mano un oggetto di 4-5 pollici, che pesa meno di 100 grammi, ho così la possibilità di leggere qualche decina di pagine di Kafka sulla spiaggia di Murakami, l’ultimo e-book scaricato da internet. Questo aggeggio che ho in mano sostiuisce anche il mio navigatore gps, il cronometro che uso quando corro, l’iPod, la macchina fotografica quando non ho voglia di portare la reflex, la sveglia, il computer portatile per collegarmi ad internet e sbirciare fra una serie di e-mail a cui non ho voglia di rispondere.

Dopo un’oretta mi stanco e cerco nel mio trolley una copia dell’Internazionale, fra lo spazzolino portatile e una serie di altri oggetti leggeri e space-saving. Il tutto pesa meno di 10 kg e occupa uno spazio inferiore a 55x20x40cm, come apprendo dalle mail minatorie con oggetto Restrizioni relative al bagaglio in cabina, che ricevo poco prima di partire.

Il bagaglio a mano e lo smartphone, se ci penso, sono capitoli della stessa storia. Fanno parte della vita quotidiana della mia generazione e di quella più giovane. “Chi vuol viaggiare felice, deve viaggiare leggero” diceva il Piccolo Principe di Saint-Exupery, il quale non a caso era un aviatore.

I voli low-cost non hanno cambiato solo il nostro modo di spostarci, ma anche il nostro modo di intendere i rapporti sociali e di prefigurarci il futuro, ossia definire la nostra situazione nel mondo. Viaggiare leggero non è solo un modo per evitare la salata sovrattassa di qualche poco trasparente compagnia irlandese, ma è anche un motto che guida le nostre scelte lavorative, ci guida e limita nell’investire in relazioni, occupazioni, scelte troppo ingombranti, da stivare in un percorso o in uno spazio, che non è più il nostro, ma al massimo quello dei nostri genitori.

Personalmente, ho provato sempre una certa diffidenza per i testi di Bauman sulla modernità liquida e le metafore che da essa derivano. I suoi concetti, infatti, descrivono più la condizione di una classe media occidentale al più intuita o descritta a prima impressione, che non l’esperienza vissuta e rivissuta degli individui, sia in termini di erlebnis che di erfahrung, riflessività e attraversamento. Bauman, in particolare, sopravvaluta, a mio avviso, l’individualizzazione dei rapporti umani e il completo sradicamento soggettivo tipico della modernità. Non mi spiegherei, a partire dalla sua teoria, ad esempio, perché i giovani italiani escono sempre più tardi dalla casa della loro famiglia e come questa, nei periodi di crisi, funga ancora, efficacemente, da placenta sociale.

Preferisco pensare, come faceva Thomas quasi un secolo fa, che il comportamento individuale rappresenti sempre una dialettica, una sintesi o un compromesso fra quattro tipi di desiderio: quello di sicurezza, quello di affetto, quello di riconoscimento e quello di nuove esperienze. I giovani di oggi desiderano sempre più fare nuove esperienze, ma non rinunciano, perciò, liquidamente, ad una aspirazione alla certezza esistenziale. Vivono piuttosto in un surplus di possibilità e di informazioni fra le quali dimenarsi, con probabilità crescenti di fallimento o di downgrading.

Sono costretti a scegliere o decidere, ossia tagliare.Ogni scelta ha chiaramente un peso e un costo. Viaggiare leggeri è un modo, efficace, di limitare questi fardelli. Preferisco allora parlare di trolley generation, una metafora che mi appare particolarmente efficace se ripenso ai viaggi Bologna-Lamezia Terme, in partenza dall’aeroporto Marconi e osservo persone anziane di origini proletarie che si sono adattate a non trasportare grossi bagagli ma a ritornare a quell’essenzialità che accompagnava le emigrazioni italiane del ‘900. Più smartphone, insomma, e meno pasticcini alle mandorle e salumi insaccati.

La maggior parte delle scelte che facciamo oggi, tende ad essere traducibile in uno spostamento aereo economico, accompagnato da un bagaglio a mano. Molti di noi arrivano persino a non disfarlo del tutto quel trolley e a lasciarlo magari in corridoio, pronto per il prossimo viaggio. E per la gioia dei gatti che vi si infilano dentro.

Vincenzo Romania

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