Un'altra bomba a Sidone

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E’ successo di nuovo. 2 mesi fa esatti, il 27 maggio, un convoglio di caschi blu italiani della forza internazionale di pace Unifil era stato investito da una bomba piazzata lungo l’autostrada vicino alla città di Sidone, a sud di Beirut. 5 soldati erano rimasti feriti, uno in modo grave.

Ieri pomeriggio, sulla stessa strada ed a poca distanza dal precedente attentato, un’altra bomba. Questa volta sono stati colpiti i soldati francesi: 6 feriti, di cui 2 gravi.

La dinamica dell’incidente e soprattutto il luogo fanno pensare che la mano possa essere la stessa. Ma, così come ancora nessuno sa, almeno ufficialmente, chi ha messo la bomba contro gli italiani, nessuno azzarda ipotesi nemmeno su questo episodio.  In Italia non se ne parla e non se ne parlerà, non essendoci connazionali coinvolti. Per questa volta non dovremo ascoltare i soliti appelli sconsiderati al ritiro dei “nostri ragazzi”, che buttano all’aria  mesi ed anni di paziente e difficile lavoro quotidiano sul campo.

La cosa sicura è che per noi stranieri questi attentati sono comunque un segnale preoccupante. I convogli di Unifil non portano segni che permettano di identificare di che nazionalità siano i soldati all’interno dei blindati, quindi il fatto che le vittime siano italiane, francesi, spagnole o coreane, è abbastanza casuale. Colpendo i caschi blu non si colpisce uno specifico paese, ma in generale si vuole mandare un avvertimento alla comunità internazionale, ed in particolare, credo, a quanti vivono in Libano e si impegnano per cercare di dare stabilità a questo paese.

Vedere le foto di  un attentato, e sapere che su quella strada si è passati decine di volte, è un messaggio molto più forte e serio di qualsiasi dichiarazione dei vari esponenti politici (cristiani, sciiti, sunniti, senza differenza) che durante la settimana fanno a gara per buttare benzina sul fuoco, salvo poi ipocritamente condannare gli episodi di violenza che si stanno ripetendo, purtroppo, con frequenza.

Francesco Pulejo

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