Borneo: un armadio dove si incontrano scheletri del tempo dell'unificazione Italiana

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

Non mi aspettavo, mentre sfogliavo libri ottocenteschi nella biblioteca di Kuching, capitale di Sarawak, uno dei due Stati nel Borneo appartenenti alla Federazione Malesiana, che avrei scoperto legami antichi e poco conosciuti tra l’Italia e il Borneo.

Già Ludovico di Varthema, bolognese, aveva visitato il quest’isola nel 1506 e ne aveva definito gli abitanti come pagani, ma buona gente, dove la giustizia viene amministrata in modo rigoroso, e da dove si esporta molta canfora.

Altri Italiani seguiranno più avanti ad esplorare e visitare sistematicamente il Borneo: il naturalista fiorentino Odoardo Beccari ebbe modo di conoscere Charles Darwin e James Brooke, il Rajah di Sarawak . Nell’aprile del 1865, non ancora ventiduenne, Beccari salpò con Brooke per Sarawak, dove soggiornò per 3 anni, compiendo numerose spedizioni e raccogliendo innumerevoli campioni di piante, conchiglie, farfalle e di altri insetti, ed animali vari. Il suo interesse principale divennero comunque le palme, di cui descrisse 130 specie in 25 differenti generi, e fu lui il primo a descrivere il fiore più grande del mondo: l’Amorphophallus titanum, o Aro Titano.

La passione del Beccari era stata vista dal governo Sabaudo con grande simpatia, per poter raccogliere informazioni sul Borneo, seppur non sulla parte di Sarawak dove era diretto, ma sulla parte più settentrionale. Qui si dirigevano le mire del governo Sabaudo per uno scopo vergognoso ed inumano, poco conosciuto ai giorni nostri, e fortunatamente mai riuscito: la deportazione in massa di coloro che ancora si opponevano alla rapina e all’occupazione militare dell’ex Regno delle Due Sicilie.

Certo può sorprendere oggi pensare che allora ci fosse qualcosa da rapinare nel Mezzogiorno, dopo anni ed anni di propaganda in cui il Meridione italiano viene rappresentato esclusivamente come corrotto, inefficente e malavitoso (nessuno sembra ricordare che lo sbarco Alleato in Sicilia fu possibile grazie alla Mafia, reinstallata nel Paese dagli Americani dopo essere stata debellata da Mussolini).

In cosa consisteva la ricchezza del Regno del Sud? Il primo mezzo navale a vapore del Mediterraneo (una goletta) fu costruito non a Marsiglia ne’ a Genova, ma nelle Due Sicilie. La prima nave “italiana” ad arrivare, nel 1854, dopo 26 giorni di navigazione, a New York, era meridionale, e si chiamava -guarda un po’!- “Sicilia. Vini pregiati come quelli di Mastroberardino venivano esportati nelle Americhe. La bilancia commerciale con gli Stati Uniti era fortemente in attivo e il volume degli scambi era quasi il quintuplo del Piemonte. Il cantiere di Castellammare di Stabia, con 1.800 operai, era il primo d’ Italia per grandezza e importanza. Tutto sarebbe presto cambiato con l’occupazione piemontese. Dal Gennaio 1862 nell’ex Regno delle Due Sicilie vennero smantellate, oltre ad attività minori, le cartiere di Sulmona e le ferriere di Mongiana, i cui macchinari furono trasferiti in Lombardia. Furono fatte chiudere le fabbriche per la produzione di lino e canapa di Catania.

La disoccupazione diventò un fenomeno di massa e incominciarono da un lato le prime emigrazioni verso l’estero dei più intraprendenti o disperati, e dall’altro, il cosiddetto brigantaggio.

L’affidamento degli appalti (e delle tangenti coinvolte) per i lavori pubblici da effettuare nel Napoletano ed in Sicilia fu

dato ad imprese lombardo-piemontesi che erano pagate con il denaro  ricavato dalla tassazione straordinaria imposta dai piemontesi. Nel Regno delle Due Sicilie la tassazione era, nel 1859, di 14 franchi a testa. Nel 1866, sotto il nuovo ordine, le tasse erano già salite fino a 28 franchi a testa. I Piemontesi, già indebitati con gli Inglesi per l’aiuto ricevuto nel sopprimere i rivoltosi lealisti al precedente governo, diedero a varie ditte inglesi concessioni per operare i servizi nel Sud, come ad esempio la società per il gas pubblico di Napoli. La solida moneta aurea ed argentea borbonica venne sostituita dalla carta moneta piemontese. Lo stato sabaudo si era dotato di un sistema monetario che prevedeva l’emissione di carta moneta mentre il sistema borbonico emetteva solo monete d’oro e d’argento insieme alle cosiddette “fedi di credito” e alle “polizze notate” alle quali però corrispondeva l’esatto controvalore in oro versato nelle casse del Banco delle Due Sicilie.

Il problema piemontese consisteva nel mancato rispetto della “convertibilità” della propria moneta, vale a dire che per ogni lira di carta piemontese non corrispondeva un equivalente valore in oro versato presso l’istituto bancario emittente, a causa della spesa per gli armamenti dello stato (corsi e ricorsi storici: oggi qualcuno vorrebbe che l’Italia comprasse 131 aerei F-35).

A seguito dell’occupazione piemontese il Banco delle Due Sicilie (diviso poi in Banco di Napoli e Banco di Sicilia) si vide impossibilitato a prelevare dal mercato le proprie monete metalliche per trasformarle in carta moneta così come previsto dall’ordinamento piemontese, poiché in tal modo i banchi avrebbero potuto emettere carta moneta per un valore di 1200 milioni e avrebbero potuto controllare tutto il mercato finanziario italiano (benché ai due banchi fu consentito di emettere carta moneta ancora per qualche anno).

L’oro, invece, passò nelle casse piemontesi salvando il Piemonte dalla bancarotta.

Non solo: furono venduti, a prezzi irrisori, ai traditori liberali tutti i beni privati dei Borbone e gli stabilimenti pubblici civili e militari delle Due Sicilie, provocando quella grande devastazione economica dalla quale il Meridione italiano non riuscì mai più a risollevarsi completamente.

L’imposizione delle leggi sabaude, sebbene questo fatto sia poco noto, fu implementata con gli stessi sistemi usati poi dai Nazisti nel 1943 durante la loro occupazione dell’Italia: impiccagioni, condanne a morte, terrore, tanto da suscitare moti di disgusto nell’opinione pubblica europea, e disapprovazione dei “tutori” inglesi del giovane regno.

È qui che il Borneo entra in gioco negli schemi sabaudi. I Piemontesi, non potendo sostenere l’imbarazzo dell’opinione pubblica internazionale, si misero alla ricerca di un territorio dove fondare una colonia penale. Pensavano ad una specie di Cayenna italiana, nella quale intendevano deportare quindicimila persone legate ai Borboni.

Il 6 gennaio 1869 il generale Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Luigi Federico Menabrea, savoiardo

di Chambery, scrive al comandante della nave Principessa Clotilde, (che si trovava davanti al Borneo), il capitano di fregata Carlo Alberto Racchia:

«…L’importanza dell’argomento segnatamente per ciò che concerne la possibilità di formare uno stabilimento sulle coste di Borneo ha deciso il sottoscritto di scrivere direttamente al Comandante della Piro-corvetta “Principessa Clotilde” per avere dal medesimo una relazione ragguagliata delle condizioni del paese dove si potrebbe impiantare quello stabilimento. Sin d’ora, ed anche soltanto dietro le informazioni avute sembra che il R. governo dovrebbe frapporre il minor indugio possibile ad inviare a Borneo un legno della R. Marina per esaminare minutamente ogni cosa ed anche per entrare in trattative positive e concrete per l’acquisto del territorio che ci è necessario per lo stabilimento che è in animo del R. Governo di fondare. Se l’invio di altra nave dello Stato dovesse essere molto ritardato, converrebbe forse che la “Principessa Clotilde” ricevesse istruzione di recarsi di nuovo a Borneo allo scopo sopra indicato».

Gli Inglesi e gli Olandesi, presenti da tempo in quelle terre, non erano favorevoli alla presenza italiana.

Alla fine del 1869, non riuscendo ad ottenere alcun risultato per timore dell’opposizione parlamentare, i militari decisero di usare un “contractor”, come si fa oggi, per evitare la condanna diretta da Regno Unito o Olanda. All’esploratore Emilio Cerruti fu dato l’incarico di andare in Nuova Guinea come privato per allacciare rapporti con le popolazioni locali. Il Cerruti, nato a Varazze il 28 novembre 1850, era tornato a Firenze nel 1870 con bozze di trattati firmati dai sultani delle isole di Aru, Kai e Balscicu davanti alla Nuova Guinea, dove veniva accettata da loro la sovranitá italiana (il Cerruti aveva anche preso possesso di alcuni settori della costa settentrionale ed occidentale nella Nuova Guinea in nome dell’ Italia). In particolare, col trattato firmato il 20 Dicembre 1869,  il sultano di Salawati aveva accettato la colonizzazione italiana contro uno stipendio di quattromila fiorini d’oro annui. Salawati oggi fa parte del paradiso marino delle isole di Rajah Ampat (= “i quattro re”) in Indonesia.

Non male per un trentenne di allora, con la limitatezza dei mezzi di allora, in confronto a quarantenni di oggi dotati di computer che non lasciano la casa della mamma ultrasettantenne!

Sull’affare di Borneo, il Ministro Cadorna da Londra riferiva, dopo un incontro con Lord Granville, al Ministro degli Esteri Visconti Venosta in data 3 gennaio 1872 (D.D.I., 2a Serie, Vol. III, n. 282):

«…il Governo Inglese, qualunque ne sia il motivo, non vede molto volontieri il nostro progetto di occupare una terra

nei grandi lontani mari per farvi uno stabilimento di deportazione. Ma l’opposizione non fu finora per sua parte aperta, sibbene indiretta, fatta caso per caso, senza ragionamenti e motivi; soprattutto non fu mai ostensivamente basata sopra considerazioni politiche…[da] questa lunga conversazione traspare una non celata riluttanza al nostro progetto, appoggiata a ragioni insussistenti, e non applicabili al caso, le quali (dette da Lord Granville uomo molto fino, e di molta intelligenza) danno il diritto di credere, che i veri motivi di questa riluttanza non si vogliono dire, e che non si vuole perché ragionevolmente non si può. Ora tutto ciò mi conferma nella presunzione che le difficoltà non sono nel caso particolare di Borneo, e che nol furono negli altri casi consimili che l’hanno preceduto; ma che hanno base in una ragione politica di carattere generale…».

Il timore di inimicarsi l’Inghilterra e l’Olanda fece fortunatamente fallire tutto. (Peccato per l’isola paradiso tropicale, oggi riconosciuta come uno dei biotipi tra i più unici nel Pianeta …!)

In ogni caso i Britannici, che avevano tutto l’interesse a sponsorizzare la monarchia sabauda da loro recentemente “promossa” ad elemento catalizzatore di un’Italia da usare come contrappeso alle influenze francesi ed austroungariche , durante l’assedio di Khartum diedero corpo all’idea di far occupare dagli Italiani le zone sulle coste del Mar Rosso che, abbandonate dagli egiziani, correvano il rischio di essere invase dalle truppe del Mahdi o di essere occupate dai francesi. In una conversazione del 20 ottobre 1884 fra Costantino Nigra e lord Granville fu posto per la prima volta al governo italiano il problema dell’occupazione di Massaua.  L’invito ufficiale ad intervenire, quasi a compensazione del rifiuto di occupare il Borneo, fu rivolto da Granville all’ambasciatore italiano Costantino Nigra il 21 dicembre 1884. Ad un lungo e difficile negoziato fra l’Italia, l’Inghilterra e l’Egitto, concluso solo nei primi giorni del febbraio 1885 fece seguito il 5 di quel mese l’arrivo delle regie navi Vespucci Gottardo al comando dell’ammiraglio Caimmi.

Dopo i preparativi e qualche incertezza, l’8 febbraio 1885, i bersaglieri entravano a Massaua tra le proteste della Turchia e i malumori dell’Austria e della Russia, come da piani inglesi; ma rafforzatasi la situazione italiana con il ritiro del presidio egiziano, Massaua divenne territorio italiano e come tale fu successivamente riconosciuto. L’Italia iniziava la sua politica coloniale, anche se non dal Borneo.

Chi se lo sarebbe aspettato, semplicemente andando in vacanza a Kuching, di scoprire tanti scheletri nell’armadio di un’Italia cosiddetta unita?

dal Borneo (segue, parte seconda)– di Giovanni LOMBARDO

Dal Borneo, parte prima

 

In copertina: Kuching, Sarawak, Malaysia, photo by S.Ratanak on Unsplash

Ti potrebbe interessare