Waterboys, il ritorno di Fisherman's Blues

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“Volevo solo fare canzoni con chitarra, violino e mandolino, che superassero il tempo”. Mike Scott ha 54 anni: 27 anni fa, nel pieno dell’esplosione dei sintetizzatori, nella dance anni ’80, portò con i Waterboys il folk irlandese in giro per il mondo. Ora con tutta la band riunita – gigantesco Steve Wickam al violino –  ripropone Fisherman’s Blues, album che nel 1988 segnò la loro consacrazione, in tour per mezza Europa.

Domenica sera la tappa a Padova. A giudicare dall’entusiasmo dei fans del gruppo, l’impresa di Mike è riuscita alla perfezione: canzoni che restano nel tempo, che sanno di brughiera, folletti e whiskey torbato. Quattro musicisti il cui fisico appesantito dal tempo non risente di stanchezza: Scott nasconde la lunga chioma bianca sotto un larghissimo cappello, Steve Wickam (un signore) ha stile e classe da vendere e il foulard a mo’ di cravatta è il suo marchio di fabbrica, memorabile Ralph Salmins alla batteria.

Band granitica, folk esplosivo in almeno 5-6 occasioni, un peccato doverlo ascoltare seduti fino ai bis. Da brividi We will not be lovers, Sweet thing, Don’t bang the drum, A Girl called Johhny, e ovviamente Fisherman’s blues. Mancano, ed è un peccato – ma è un punto di vista strettamente personale – interi capitoli della storia della band: This is the sea, A pagan place e The Pan Within rimangono nell’aria e nella mia testa. Così come forse il lato blues vince un po’ troppo su quello folk-rock. Ma è la celebrazione di Fisherman’s Blues, va bene così. Mike mi deve solamente un bis.

AND

Le altre recensioni di And: David Byrne e St.VincentEx Csi, noi reduci; Capossela sulle Dolomiti

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