La Jugoslavia è una bicicletta: Yugoland e il mal di Balcani

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Se la Cina è vicina, la Jugoslavia è molto più lontana. Questo, confesso, era il mio stato d’animo nell’affrontare “Yugoland. In viaggio per i Balcani” , il lavoro di Andrea Ragona e Gabriele Gamberini (Edizioni Becco Giallo, 256 pp,  15,90 euro). Reminiscenze di anni passati: la “polveriera”, le tensioni e poi la guerra.  Così vicina, eppure – in fondo –  così lontana. Una sensazione confermata col passare degli anni, seppur, ovviamente, più costruita: quelle terre dietro l’angolo, che tocchiamo appena scivoliamo oltre Trieste, sono così “diverse”, così lontane. Affascinanti, molto: ma col retrogusto di un timore di non capirsi molto, troppo elevato.

A pagina 40 del libro, che è un fumetto (ma non solo) disegnato da Gamberini e  pensato  on the road e scritto poi da Andrea, presidente di Legambiente Padova e membro del direttivo nazionale (l’ho letto sul comunicato stampa,  rimane Andrea), posso già  tranquillamente mettere giù due parole. Perché gli autori hanno vinto la sfida: farmi sentire quel “Mal di Balcani” che Luka Zanoni, direttore responsabile di Osservatorio Balcani e Caucaso, ci fa intuire già dalla prefazione. Me l’aveva spiegato lui, Zanoni, scrivendo “È un libro per tutti. Come un taccuino pieno di tasche, per infilarci gli indirizzi e i biglietti raccolti strada facendo, i pezzi di vita attraversata, le foto, le matite, gli acquerelli. La narrazione a fumetto e il disegno, in modo potentemente evocativo, avvicinano, raccontano, accennano, alludono. Invitano ad approfondire e conoscere”. E ha ragione, in pieno. Non è un volume da leggere  prima di andare a letto, per capirsi: t’invita al viaggio, ti stimola.

Guida eno-politica, la definiscono gli autori. Ma se penso ad una guida m’immagino un qualcosa di nozionistico,  magari freddo. Yugoland è più una sfida eno-politica, fatta, come dicono loro “di incontri, foto, interviste, fumetti, spiagge da sogno, resoconti musicali e consigli gastronomici”.  Devo ad Andrea – vista la sua passione per le due ruote – la metafora riportata: “La Jugoslavia è una bici. Il manubrio è la Croazia, perché la sua guida, il maresciallo Tito, era croato. Il telaio, la struttura portante, è la Serbia. I pedali, motore economico del tutto, la Slovenia. Le ruote, amalgama delicato di aria, acciaio e gomma, sono la Bosnia. La sella,  che si sfila dal telaio senza clamore, il Montenegro. La catena, piccola parte a servizio del tutto, la Macedonia. E infine il campanello: il Kosovo. Nel 1989 si è messo a suonare. Ma nascosto dal frastuono del muro che cadeva, nessuno l’ha sentito”.

C’è da avere pazienza, c’è da lasciarsi coinvolgere: non ne uscirò, immagino, con certezze, ma con tanta curiosità in più e qualche chiave interpretativa in mano. E se avrò voglia di verificare di persona le mie intuizioni, mi basterà svoltare l’angolo.

Informazioni di servizio: le emissioni di CO2 prodotte da Yugoland sono state interamente compensate con il progetto AzzeroCO2: http://www.azzeroco2.com. All’interno intervista con Svetlana Broz, nipote di Tito: ma dopo averla sentita parlare mi verrebbe da dire che era più Tito ad essere lo zio di Svetlana Broz.

Enrico Albertini

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