A me fin da bambina, hanno insegnato a non dimenticare

 

A me, fin da bambina hanno insegnato a non dimenticare. Prima ancora che ci dedicassero un giorno apposta.

Alle elementari la maestra ci aveva raccontato la storia di Anna Frank. Ci aveva spiegato cos’era successo: le leggi razziali, la stella di Davide, i campi di concentramento. Alle medie, la professoressa ci aveva parlato di Primo Levi. Leggevamo ‘La Tregua’ durante l’ora di narrativa e, in terza, avevamo visto assieme e commentato Schindler’s list. Le fotografie di prigionieri emaciati in divisa a strisce, di mucchi di capelli tagliati, di squallide baracche, sono entrate nell’immaginario collettivo, mio e dei miei compagni, fin dall’infanzia. Ma non ero mai veramente riuscita a realizzare quella mostruosità nella sua interezza prima di visitare di persona il campo di concentramento di Auschwitz.

La prima cosa che si nota entrando ad Auschwitz è l’ordine. E’ tutto perfetto. Sconvolge realizzare che la mente umana possa aver ideato, con così fredda lucidità, una cosa tanto atroce. Il pensiero dell’esistenza infernale dei detenuti stride orribilmente con l’ordine degli edifici e con la precisione delle ‘procedure amministrative’. Si è in qualche modo preparati alla vista delle montagne di valigie, ai mucchi di denti d’oro, ai cumuli di scarpe (ora disposti e protetti da un’innaturale teca di vetro), li si è visti in fotografia decine di volte. Ma colpisce come un pugno allo stomaco vedere fiori, animali e bimbi giocosi disegnati alle pareti delle squallide latrine. Ordinati apposta per ‘rallegrare’ il risveglio mattutino ai prigionieri.

Dai perfetti edifici in mattoni di Auschwitz (il centro direzionale ed amministrativo) ci si trasferisce a Birkenau, il campo di sterminio vero e proprio. Dove è inevitabile essere sopraffatti dall’orrore, che prende come una morsa allo stomaco appena ci si rende conto delle dimensioni del campo: è immenso. Interminabili file di baracche in legno che, viene spiegato, in origine erano dei prefabbricati per stalle. Ci sono ancora gli anelli di ferro, progettati per legare le briglie.

E poi fa freddo, tantissimo. Io l’ho visitato a fine marzo, e la terra era ancora grigia e dura, cosparsa di mucchi di neve non sciolta.

 Barbara Zamboni

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