"Amira", in Palestina una "immacolata concezione" che mette in crisi le identità

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Con Amira del regista egiziano Mohamed Diab (Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, 2021, 98′) irrompe a Venezia 78 la questione palestinese, letta in modo originale attraverso un film di finzione – in concorso nella sezione Orizzonti – che mostra fino a che punto il conflitto israeliano-palestinese si incarni nelle dinamiche familiari, fino a determinare l’identità stessa delle persone. Amira è una ragazza palestinese di 17 anni, che cresce insieme alla madre mentre il padre Nawar, considerato dalla coomunità un eroe della resistenza anti-israeliana, è in carcere. Fin dalla nascita, Amira lo ha sempre visto solo attraverso un vetro durante i colloqui concessi ai reclusi, o gli ha parlato in brevi telefonate clandestine. Ma, grazie alla passione della fotografia, la giovane è in grado di colmare con l’immaginazione le distanze fisiche che ostacolano la relazione filiale: nei fotomontaggi che realizza al computer e di cui ha riempito la casa, la famiglia è unita.

Come è stata concepita Amira? È la domanda che la protagonista stessa inizia a farsi quando la madre e il padre decidono di avere un altro figlio attraverso l’inseminazione artificiale, e si scopre fortuitamente che Nawar è sterile. Come in una sorta di “immacolata concezione” dei tempi moderni, il mondo di Amira è sconvolto. E anche quello di chi le è vicino: la madre arriva ad auto-accusarsi di adulterio pur di non far ricadere sulla giovane figlia uno stigma ben peggiore (che non riveleremo qui). Se Amira non è figlia dell’eroe che ha sempre visto nel padre, come cambierà la sua autopercezione? I copia-incolla non bastano più.

Girato quasi tutto in interni nell’ambiente di un villaggio della Palestina occupata, il film ci fa entrare nella testa della protagonista adolescente, la cui vita è sconvolta dal venir meno della figura paterna. «Il fatto che nel luogo in assoluto più sacro e diviso della Terra esista una qualche forma di ‘immacolata concezione’, è tanto affascinante quanto surreale – si legge nelle note di regia di Mohamed Diab –. Amira rappresenta un’esplorazione microcosmica della divisione e della xenofobia che regnano nel mondo odierno. Nell’atto di dipanare l’identità della nostra eroina, il film solleva la questione se l’odio nasca spontaneo o venga coltivato».

Giulio Todescan

 

Immagine di copertina tratta da http://www.pyramidefilms.com

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