Arrivare a Yalta e Odessa dal mare

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Dopo la Moldavia*, ecco un nuovo viaggio di Mauro Buffa, autore autore di “Sulla Transiberiana”, edizioni ediciclo

Arrivare a Yalta, dal mare, su una nave da crociera, permette di ammirare in tutta la sua estensione questa Montecarlo dell’est, dove, prima gli zar e poi la nomenklatura comunista, trascorrevano, nell’unico mare balenabile a loro disposizione, le vacanze estive.

Ben frequentata grazie al suo clima temperato, unico in tutto l’ex Impero, e ai suoi stupendi panorami, la cittadina balneare di Yalta, situata sulla penisola di Crimea nel Mar Nero, ha più volte incrociato la storia che ancora oggi rivive nei suoi musei o semplicemente aleggia nel ricordo.   

Sebbene oggi faccia parte dell’Ucraina, racconta ancora alcuni momenti memorabili della storia del grande paese vicino dal quale non si è mai veramente distaccata.

Gli stabilimenti balneari che si vedono lungo la costa sono quelli che i sindacati sovietici avevano costruito per le ferie dei lavoratori e, ai quali si accedeva rispettando una turnistica che, non raramente, veniva aggiustata per favorire chi aveva migliori relazioni.  Accanto ad essi, oggi sorgono moderni hotel che selezionano la loro clientela semplicemente in base al costo dei servizi offerti. Ma c’è evidentemente chi può permetterselo dato che, in una giornata di luglio, le vie della cittadina sono affollate di villeggianti. Le strette strade che si diramano dal porto conducono sulle colline dove, nei secoli scorsi, sono stati costruiti quei palazzi che hanno segnato un’epoca o la storia stessa. Il più celebre è il palazzo Livadija dove, tra il 4 e l’11 febbraio 1945 si tenne l’incontro tra Roosevelt, Churchill e Stalin, noto come Conferenza di Yalta, che contribuì in maniera determinante a gettare le basi dell’assetto geopolitico mondiale del dopoguerra. Il bel palazzo era stato la principale residenza estiva dello Zar Nicola II. Si presta ad una doppia visita: al piano terreno le sale della conferenza, le foto storiche, la riproduzione del documento finale, il giardino dove vennero scattate le celeberrime immagini dei tre grandi seduti con espressione, se non serena, almeno soddisfatta per la vittoria sul nazismo ormai prossima. Berlino cadde infatti tre mesi dopo, ma ormai il destino di Hitler era segnato.

Il tavolo della Conferenza di Yalta

 

Al secondo piano sono stati ricreati gli appartamenti della famiglia dello zar, l’ultima famiglia imperiale con le sontuose stanze e lo studio del monarca che si affaccia su un panorama marino incorniciato da una fitta vegetazione e da cespugli fioriti. Visto da occhi avvezzi ai lunghi inverni russi doveva sembrare ancora più bello.  A restituire l’atmosfera di quella belle epoque imperiale concorrono soprattutto le foto in bianco e nero sorprendentemente ben conservate. La consorte Alessandra proveniente dalla nobiltà tedesca, il figlio emofiliaco Aleksej e  le figlie, Olga, Tatiana, Maria e quella Anastasia sulla cui sorte a lungo si speculò per continuare a coltivare la speranza che almeno una componente della famiglia imperiale fosse sopravvissuta all’eccidio di Yekaterinburg e dunque una restaurazione della monarchia fosse possibile. Ma la storia aveva preso un altro corso e le foto delle belle ragazze nei loro eleganti vestiti bianchi sedute con sguardo sognante accanto alla madre e al padre in alta uniforme sono immagini fin troppo idilliache e certamente non rappresentative della Russia dell’epoca che non era l’Austria Felix, ma un paese dove ancora vigeva il latifondismo aristocratico e la servitù della gleba e dove gli oppositori politici venivano arrestati dalla potente polizia politica e spediti in Siberia. 

Negli anni successivi, in villeggiatura a palazzo Livadija, ci vennero i nuovi padroni della Russia, non meno crudeli degli zar, ma che almeno ebbero il pregio di aprire le porte della Crimea anche alla classe lavoratrice.

Altri personaggi storici legarono il loro nome a Yalta e alla Crimea. Togliatti che vi morì e Gorbaciov  che rimase agli arresti per tre lunghi giorni durante i quali a Mosca venne tentato un golpe per porre fine al processo di rinnovamento del morente impero comunista.

Tutto questo oggi è passato. Sono altri gli uomini che reggono le sorti della Russia e del mondo e Yalta può tornare ad essere una tranquilla località sulla costa del Mar Nero.

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Dopo una notte di navigazione, da Yalta si giunge a Odessa, bella città ucraina e, a sua volta, luogo evocativo.  Il monumento più celebre resta ancora oggi la scalinata che collega il porto alla parte storica. E’ la scalinata della corazzata Potemkin dove si svolge la scena dell’eccidio di inermi cittadini ad opera delle guardie bianche zariste descritta nel grande film di Sergej Ėjzenštejn. E’ la storia vera dell’ammutinamento dei marinai dell’incrociatore Potemkin nel 1905, riproposta nel film celebrativo girato vent’anni dopo. Il pubblico italiano lo conosce indirettamente per la parodia fatta da Luciano Salce nel Secondo tragico Fantozzi, dove la scena della scalinata venne girata appositamente, ma in modo così preciso che alcuni critici la scambiarono per l’originale e gridarono alla profanazione.

Oggi la scalinata è in parte occupata da bancarelle che vendono matrioske e cartoline ai numerosi turisti che la affollano. Non è un manufatto di pregio artistico e non è neppure ben conservata, ma è comunque un bell’accesso alla città vecchia che inizia proprio dove termina la salita.

Odessa è stata fondata alla fine del settecento e di quel secolo conserva le sontuose architetture  dei palazzi del centro che si affacciano su ampi viali pedonali. I principali edifici di Odessa, la cattedrale, il teatro dell’opera e il municipio sono perfettamente restaurati e restituiscono un immagine quasi letteraria di questa città anche con la complicità del bronzo dedicato al grande poeta russo Puškin, che qui soggiornò in gioventù. Ma la realtà contemporanea irrompe improvvisamente, proprio in questi paraggi, sotto forma di una manifestazione politica di protesta. Un gruppo di manifestanti espongono muti due striscioni. Mi avvicino e, nell’impossibilità di comprendere le scritte, chiedo lumi a un giovane con un megafono in mano. Parla inglese come oramai tutte le persone sotto i trent’anni in Russia e nelle sue ex repubbliche della parte europea. Sono esponenti di un partito democratico di opposizione e protestano contro l’arresto di un loro compagno. Sventolano la bandiera nazionale ucraina, azzurra e gialla e quella della città di Odessa, rossa e gialla con l’ancora. E’ una manifestazione di straordinaria compostezza agli antipodi di quelle sguaiate con le ragazze a seno nudo che sempre più spesso protestano a Kiev attirando l’attenzione della stampa internazionale. Partono gli slogan dal megafono e i pochi poliziotti si avvicinano ai manifestanti senza troppa convinzione.

Torno sui miei passi e mi concedo un bicchiere di kvass fresco, la bevanda prodotta col pane abbrustolito e fermentato venduta sfusa agli angoli delle strade in tutta la Russia. Mi restano poche grivnie, la moneta nazionale e le spendo comprando una maglia da marinaio a strisce orizzontali bianche e azzurre con la quale mi appresto a tornare al porto rifacendo la scalinata Potemkin, questa volta in discesa e cioè  nel senso dei soldati che, nel film di Ėjzenštejn, sparano sulla folla o, se si vuole, nel senso della carrozzina che sfugge al controllo della madre colpita a morte.

E’ ripida e lunga come nel film, ma affollata di turisti, venditori e ragazzi che si incontrano. L’Ucraina, vista da Odessa, offre oggi un’atmosfera meno drammatica della storia che l’ha attraversata nel secolo scorso.

Mauro Buffa

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