Australian Walkabout

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Australia mette addosso ansie migratorie.
È la tensione di strade dritte e vuote che tagliano le vastità, correndo solitarie tra la polvere del deserto.

È il richiamo delle foreste dell’est che sorgono appena fuori dai confini urbani, attanagliando le città con arborei artigli, imponendo costantemente la memoria della selva.

Sono le coste mai addomesticate dell’ovest, lungo le quali centinaia di kilometri di piste di terra rossa si snodano tra arbusti bassi, parallele alle vie di grande comunicazione, da un faro all’altro, avviluppandosi intorno a spiagge di conchiglie, geyser marini, meraviglie inaspettate.

Sono le nebbie e le balene tra le isole della Tasmania meridionale. Gli avamposti sperduti del nord.

È il bush che tutto mangia, che brucia e risorge in un ciclo che ha il fascino del mito. Poi è il deserto e, ancora oltre, nuove linee di costa, un oceano dal diverso nome.

Sono i racconti di chi da ovunque arriva, diretto altrove: paesaggi abbozzati che reclamano d’essere raffrontati alla viva realtà.

È la sensazione di trovarsi a cavallo di una frontiera, una delle ultime sulla terra, dove si possa ancora confrontarsi con l’inaddomesticato, fronteggiare l’inesplorato. Aver lo sconosciuto a portata di mano.
Sydney, Melbourne, Darwin, Perth – non sono che avamposti, bandierine piantate sole, che nonostante una pretesa d’imponenza si perdono nell’incommensurabile vastità di una nazione che è un continente, isola troppo grande per esser percepita tale, terra d’istinti primordiali che nemmeno l’uomo sembra essere in grado di dominare.

Australia incanta, è un posto in cui l’istinto sedentario perde la presa, un luogo che pare disegnato apposta per essere esplorato, osservato, percorso.

Viaggiato.

Eliano Ricci

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