Banglavenice, un documentario di Emanuele Confortin tra Asia e laguna veneta. Al via il crowdfunding

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Un film per raccontare il rapporto tra un gruppo di migranti provenienti dal Bangladesh e la città di Venezia: è Banglavenice, documentario di osservazione del giornalista, fotogiornalista e regista indipendente Emanuele Confortin che ha trovato, come elemento di collegamento tra questi due mondi apparentemente distanti, quello dall’acqua, il cui ritorno ciclico determina il ritmo dell’opera, come una marea.

Dopo la fase di riprese, realizzate corso di sei mesi di osservazione – da novembre 2020 a marzo 2021 e da dicembre 2021 a febbraio-marzo 2022 –, il regista e il suo team hanno lanciato una campagna di crowdfunding (a questo link) per completare la post-produzione: color correction, stabilizzazione immagini, editing audio, sound design, traduzioni in italiano e in inglese, creazione di un sito web e iscizione ai festival italiani ed esteri.

Bangladesi a Nordest

Banglavenice non è il primo progetto a voler approfondire le storie dei migranti bangladesi nel Veneto. Risale al 2015 il libro “Alte Ceccato. Una Banglatown nel nordest” (professionaldreamers, Trento) scritto da Francesco Della Puppa, sociologo e ricercatore sociale, e da Enrico Gelati, facilitatore nelle scuole di Alte Ceccato – una frazione di Montecchio Maggiore, in provincia di Vicenza, dove si è stabilità una folta comunità di origine bangladese – e insegnante di italiano L2.

Lo stesso Della Puppa, insieme a Francesco Matteuzzi (giornalista, sceneggiatore e autore di libri per ragazzi) e Francesco Saresin (fumettista e illustratore), nel 2021 ha dato alle stampe il graphic novel “La linea dell’orizzonte. Un ethnographic novel sulla migrazione tra Bangladesh, Italia e Londra” (BeccoGiallo Editore) che racconta storie di emigrazione di cittadini italiani di origine bangladese che, arrivati nel Vicentino negli anni Novanta, specialmente ad Alte Ceccato, decidono oggi di ripartire per trasferirsi a Londra, creando una sorta di rete sociale che unisce Vicenza con il mondo.

Banglavenice, foto di Emanuele Confortin

All’origine del progetto

Lo spunto iniziale del film Banglavenice risale al 2017, risale a una conversazione che il regista Emanuele Confortin ha avuto con Shaul Bassi, veneziano e docente all’Università Ca’ Foscari Venezia. È stato Bassi a porre l’aIenzione sulla presenza in città di una nutrita comunità bangladese, proveniente da un Paese dove la convivenza con l’acqua è particolarmente complessa. L’inesorabile diaspora dei cittadini bangladesi è dovuta anche all’impatto del riscaldamento globale – non a caso il Bangladesh è considerato la linea del fronte del cambiamento climatico in Asia – inducendo migliaia di persone a partire. Questi uomini, donne e bambini sono in gran parte migranti climatici, e in molti arrivano a Venezia quasi fossero richiamati da una famigliarità ambientale, dal magnetismo dell’acqua, si legge nella presentazione del progetto.

I numeri sui rifugiati

I dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) spiegano che nel 2021 dalle coste libiche sono giunti in Italia (e a Malta) 32.400 rifugiati. Tra questi la nazionalità più numerosa era composta da cittadini del Bangladesh (7.355), seguiti da egiziani ed eritrei. Gran parte dei bangladesi in arrivo sceglie l’Italia come destinazione finale, e Venezia è tra le città preferite. Sono solo Ancona, Palermo e Venezia i capoluoghi di regione a contare tra i propri migranti internazionali una maggioranza bangladese, e tra questi la comunità veneziana è la più numerosa.

Banglavenice, foto di Emanuele Confortin

Un nuovo punto di vista sulla città

La trama narraiva di Banglavenice attinge a diverse storie apparentemente slegate tra loro ma in grado di comporre un mosaico inedito di questa città iconica. L’acqua nel film emerge con la sua inesorabile ciclicità creando un rumore di fondo capace di ridisegnare il desgno di questo luogo. Venezia si trasforma così in un contenitore dove si alternano diverse stanze, ciascuna abitata dalla storia di un veneziano o di uno dei molti immigrati bangladesi impegnati nello studio, nella ricerca di un lavoro, nella cantieristica o in altre mansioni funzionali al mantenimento dello spazio urbano.

La città si presenta gonfia d’acqua e impastata nei toni piatti dell’inverno lagunare, quindi lontana dai contrasti accesi della narrazione cui siamo abituati. L’alternanza tra il giorno e la notte fa il paio con l’alternarsi delle maree e si ritrova nella ciclicità delle vite osservate. Lo scopo è proporre un punto di vista diverso sul tema della convivenza con l’acqua a Venezia.

L’impatto del riscaldamento globale

Nel corso di sei mesi di osservazione la prospettiva umana ha assunto un ruolo centrale per cogliere nuovi spunti sull’impatto del riscaldamento globale, la cui presenza in Banglavenice risuona come un rumore di fondo. L’osservazione (e l’ascolto) dei protagonisti ci induce a esplorare la conoscenza della città “sullo stare in acqua” e come questa conoscenza è costruita, mobilitata, ripensata, rimaneggiata. L’occhio della telecamera si immerge nella città metropolitana per dare spazio a plurime interpretazioni umane di creatività e di tenacia, per tornare a guardare Venezia cogliendola (nuovamente) di sorpresa. L’acqua è il filo conduIore di questo lavoro, un “gigante da rispettare perché l’acqua può fermare il fuoco, ma il fuoco non può nulla contro l’acqua”.

Banglavenice, foto di Emanuele Confortin

All’incrocio tra Venezia e l’Asia

«Il mio legame con Venezia è innato, come per tutti Veneti – dice Emanuele Confortin –. Venezia è stato l’epicentro della mia crescita culturale e personale, da cui ha preso avvio un percorso giunto più volte in Asia, con lunghi periodi sul campo come giornalista e documentarista, spesso in contesti di crisi e di migrazione. Banglavenice nasce dall’unione di questi due spazi legati al mio vissuto, Venezia e l’Asia. Ad accomunarli è in primis l’acqua, da sempre fonte di vita e di distruzione. La possibile esistenza di un magnetismo acquatico in grado di attirare i viaggiatori del nostro tempo mi ha colpito a tal punto da diventare un progetto documentaristico in linea con i contenuti della mia esperienza professionale degli ultimi 20 anni: gli studi nel subcontinente indiano, il lungo lavoro sulle migrazioni e i conflitti, l’incontro con l’acqua in contesti climatici critici (Pakistan 2011) e, non da ultimo, un sincero amore per Venezia».

Foto: Banglavenice, di Emanuele Confortin

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