Biennale di Venezia, curatori in rivolta: la Russia non ci sarà. In forse il padiglione Ucraino

La guerra in Ucraina scatenata dall’invasione dell’esercito russo non lascia indenne il mondo dell’arte. Che si schiera, e chiede di schierarsi. Anche in vista della Biennale di Venezia, la cui 59esima edizione inaugura il 23 aprile. Il curatore del padiglione russo, il lituano Raimundas Malasauskas, ha annunciato le proprie dimissioni, causando la chiusura di fatto del padiglione stesso ai Giardini. La decisione ha preso in contropiede i curatori del Padiglione nazionale dell’Ucraina, che stava per diramare una dura nota in cui avrebbe chiesto alla Biennale di escludere i russi. Il padiglione di Kiev, curato da Maria Lanko, Lizaveta German e Borys Filonenko, ha al centro il lavoro dell’artista Pavlo Makov Fountain of Exhaustion. Acqua Alta, combinando una scultura di grandi dimensioni e materiali d’archivio che ripercorrono la storia ventennale di questa opera d’arte. I lavori del padiglione ucraino sono attualmente sospesi a causa del conflitto in corso.

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Il padiglione russo resterà chiuso

Domenica 27 febbraio sulle pagine social del padiglione russo è stata pubblicata una breve nota per annunciare che lo stesso resterà chiuso durante la prossima Biennale.

«Il padiglione russo è la casa di artisti, arte e creativi – si legge nel messaggio –. Abbiamo lavorato da vicino con gli artisti e curatori dal primo giorno su questo progetto e abbiamo aspettato le loro decisioni indipendenti, che rispettiamo e supportiamo sopra ogni cosa. Kirill Savchenkov, Alexandra Sukhareva e Raimundas Malašauskas hanno appena annunciato che non saranno parte del progetto Russian Pavilion alla 59esima Biennale di Venezia e di conseguenza il padiglione russo resterà chiuso».

La Biennale esprime «piena solidarietà per questo atto coraggioso e nobile e condivide le motivazioni che hanno portato a questa scelta, che drammaticamente raffigura la tragedia in cui si trova l’intera popolazione dell’Ucraina». Nella breve nota diffusa dalla fondazione veneziana il 28 febbraio si definisce La Biennale come «il luogo di incontro fra i popoli attraverso le arti e la cultura e condanna chi impedisce con la violenza il dialogo nel segno della pace».

Il padiglione russo avrebbe dovuto ospitare un’esposizione dal titolo «Open», che nelle parole dei curatori avrebbe promosso una riflessione sul «ruolo pubblico e la rilevanza sociale delle istituzioni culturali in tempi di crisi globale, con la voolontà di ricostruirsi su basi più solide e inclusive».

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Il padiglione russo, foto di Marco Cappelletti

La posizione del padiglione Ucraino

Il 24 febbraio, giorno dell’invasione russa, l’artista e i curatori ucraini hanno diffuso una nota in cui affermavano di non poter continuare a lavorare al progetto a causa della guerra.

«Siamo determinati a rappresentare l’Ucraina alla 59esima Biennale di Venezia, ma non tutto dipende da noi – scrivevano nella nota i curatori del padiglione ucraino e Pavlo Makov –. Se la situazione cambia, e se sarà sicuro lavorare e viaggiare, saremo a Venezia. Non possiamo confermare che il nostro progetto sarà completo, ma possiamo promettere che faremo tutto il possibile per salvare il lavoro unico prodotto da Pavlo Makov e dal nostro grande team».

Il comunicato continuava con un appello alla comunità internazionale dell’arte ad «usare tutto il suo impatto per fermare l’invasione russa dell’Ucraina. Le armi possono ferire i nostri corpi, ma la cultura cambia le nostre menti. Questa guerra è uno scontro di civiltà, un mondo libero e civilizzato è attaccato da uno barbaro e aggressivo. Se continuiamo a essere osservatori passivi della situazione, perderemo tutto ciò per cui lavoriamo e tutta l’eredità dei nostri predecessori – arte, amore, libertà di espressione e la capacità di creare».

«Non crediamo che la Russia debba essere parte de La Biennale»

Il 28 febbraio, dopo che si è diffusa la notizia delle dimissioni del curatore del padiglione russo, il padiglione dell’Ucraina ha diramato una dura nota in cui si incoraggia «la comunità artistica e le istituzioni, specialmente La Biennale, a togliere al regime e alla macchina della propaganda russi un’altra opportunità di stabilire la loro agenda culturale».

Nel comunicato i curatori spiegano: «Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi di supporto e di preoccupazione da tutto il mondo, e nessuno di questi arrivava dalle istituzioni della Russia o dal loro ministro della cultura (…). L’unica persona che ci ha contattato alla luce di questi eventi è stato l’ex curatore invitato Raimundas Malašauskas, che ha annunciato le sue dimissioni. Crediamo che il dialogo sia frutto di una comunicazione bidirezionale, non di un’agenda imposta. Ecco perché non crediamo che la Russia debba essere parte de La Biennale. Basti dire che l’attacco della Russia all’Ucraina è iniziato nella notte del 24 febbraio durante un incontro delle Nazioni Unite».

(left to right) Lizaveta German, Borys Filonenko, Pavlo Makov, Maria Lankro

Da sinistra a destra: Lizaveta German, Borys Filonenko, Pavlo Makov, Maria Lankro

La posizione della Biennale di Venezia

Il 25 febbraio, La Biennale aveva diramato questo comunicato: «La Biennale di Venezia, luogo di incontro fra popoli attraverso le arti e la cultura, è vicina a tutti coloro che soffrono a causa dell’attacco russo all’Ucraina. Invoca la pace e ripudia fermamente ogni forma di guerra e di violenza, confermandosi luogo del dialogo fra istituzioni, artisti e cittadini di ogni paese, lingua, etnia e religione. Auspica che la diplomazia internazionale ritrovi la forza per arrivare a una soluzione pacifica condivisa nel più breve tempo possibile. Anche a questo scopo conferma l’apertura della 59. Esposizione Internazionale d’Arte il prossimo 23 aprile 2022».

La Fontana dell’Esaurimento di Pavlo Makov

La storia della Fontana dell’Esaurimento ha inizio negli anni ’90, a Kharkiv, in Ucraina. Le infrastrutture fatiscenti, tipiche delle città post-sovietiche, le continue interruzioni dell’approvvigionamento idrico e gli spazi pubblici trascurati creavano in città un clima di degrado. Nessuna delle fontane pubbliche di Kharkiv funzionava. Una volta, un incidente all’impianto di depurazione locale provocò un allagamento e l’interruzione delle forniture idriche per quattro settimane.

Influenzato da questa atmosfera, l’artista Pavlo Makov rivolse la sua attenzione ai corpi idrici naturali: i fiumi locali Lopan’ e Kharkiv. Il luogo di confluenza dei due fiumi ispirò in lui l’idea di un imbuto con due cannelli. La fontana è infatti composta da una piramide di imbuti dove l’acqua, colando dall’imbuto posto al vertice in quelli sottostanti, si divide fino a che solo poche gocce raggiungono la base – proprio come due fiumi che, pur confluendo, finiscono per prosciugarsi.

Fountain of Exhaustion. Exhibition Pavlo Makov. The Fountain in the Andrey Sheptytsky National Museum in Lviv 2017. Courtesy of the Ya Gallery Art Center

Fountain of Exhaustion. Exhibition Pavlo Makov. The Fountain in the Andrey Sheptytsky National Museum in Lviv 2017. Courtesy of the Ya Gallery Art Center

I cambiamenti e le esperienze che Makov ha osservato e vissuto a Kharkiv sono diventati i temi intrinseci delle sue opere. Questi temi compaiono anche nella fontana e la rendono un’opera rilevante per l’attuale agenda globale. Infatti, la scultura vuole denunciare non solo l’esaurimento delle risorse terrestri, ma anche il burnout post-pandemico, la spossatezza causata dai social media e lo sfinimento provocato dalle guerre.

Nonostante i tentativi dell’artista, la Fontana dell’Esaurimento non è mai stata realizzata a Kharkiv. Così, per la prima volta, l’opera sarà presentata simbolicamente nella città che per eccellenza è invasa dall’acqua alta e che, al contempo, viene prosciugata dall’occupazione umana: Venezia.

«Il cambiamento dei livelli dell’acqua e i tentativi dell’uomo di dominare i flussi irregolari del “mondo liquido” sono metafore comuni per descrivere la modernità, che trova la sua incarnazione a Venezia – commentano i curatori Lizaveta German, Maria Lanko e Borys Filonenko –. L’alternanza di inondazioni e siccità, che ha portato a discussioni piuttosto vivaci sul futuro della città, è un elemento importante nel quadro del progetto del padiglione ucraino».

Pavlo Makov by The Fountain of Exhaustion mounted on the Oleh Mitasov’s house in Kharkiv, 1996. © Pavlo Makov. Courtesy of the artist

Pavlo Makov by The Fountain of Exhaustion mounted on the Oleh Mitasov’s house in Kharkiv, 1996. © Pavlo Makov. Courtesy of the artist

I curatori hanno scelto di non usare allestimenti vistosi e soluzioni digitali per il padiglione, preferendo offrire al pubblico un momento di pausa, la possibilità di guardare dentro di sé e di riflettere sulla realtà attuale. Questo approccio ha portato la loro proposta a vincere il concorso nazionale indetto dal Ministero della Cultura e della Politica dell’Informazione ucraino.

«L’arte, incarnando il valore simbolico dell’era moderna, aiuta le persone a prendere coscienza dei problemi più urgenti – ha affermato il ministro della cultura e della politica dell’informazione ucraino, Olexandr Tkachenko –. A volte è questo il modo migliore per richiamare l’attenzione su questioni delicate. L’opera dell’artista Pavlo Makov riflette in maniera simbolica sui problemi che riguardano ogni cittadino del pianeta. Sono convinto che il progetto rappresenterà degnamente l’Ucraina all’esposizione e che il suo significato risuonerà nel cuore di tutti».

Foto di copertina: Pavlo Makov, photo by Valentyn Kuzan

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