Visti dal Lussemburgo (il virus che ha infettato l'Italia)
Inizia con questo post il blog di Lucia (padovana, inventrice di http://www.spacecoolhunting.eu) dal Lussemburgo
Luca non ci ha messo molto tempo per convincermi a dare il mio contributo a questo suo progetto.. Sono rimasta subito entusiasta di partecipare a questo social network di persone che raccontano la loro esperienza di cittadini che vivono all’estero. Ed è proprio con la Rete che voglio aprire il mio blog su A Nord Est di Che. Buona Lettura!!!
Si incontrano, parlano, discutono, si dividono. Il terreno di dibattito sono incontri, forum, festival, appuntamenti specifici, c’è chi lo difende, chi lo affronta e chi lo crede una priorità. Su tutto aleggia la voglia di parlare, di mettersi in gioco, di andare oltre. Su come affrontare il famigerato problema del fare rete sembra essere l’obiettivo primario sul come affrontare la globalizzazione e l’attuale crisi economica. Gli obiettivi, che si vogliono raggiungere, spesso hanno a che fare con una stretta volontà di crescita dimensionale e sviluppo, per superare i confini nazionali ed europei. Io ne ho affrontati molti di questi incontri e relativi buffet, nei quali il chiacchiericcio sembra tanto fitto e proficuo e lo sviluppo di qualcosa di concreto dietro l’angolo, salvo accorgersi, ad un certo punto, che tutti parlano e nessuno ascolta.
In Italia, se da una parte esiste la capacità di guardare dentro l’universo delle Imprese Private e verso Proposte, che sulla carta sembrano essere vincenti, dall’altra manca la capacità e la voglia di uscire dall’Isolamento imposto dall’Individualismo. L’anno scorso, dopo aver partecipato alla selezione di una Business Idea e dopo l’ammissione, aver dato il via al mio progetto, mi sono trasferita in Lussemburgo qui, in sei mesi, anche meno se consideriamo un breve periodo di ricerca e conoscenza degli aspetti culturali e sociali, sono riuscita ad attivare una profiqua rete, ovvero quel network, necessario a sviluppare un’idea, che in cinque anni di attività Italiana, non mi è mai riuscito nemmeno di cominciare.
Normale chiedersi perché.
Perché, in Italia mi sentivo una nullità e non avevo fiducia nel futuro, riportando la responsabilità delle difficoltà ad mia incapacità relazionale ed imprenditoriale e qui il concetto si è rovesciato? Perché, fare rete è così importante che te la insegnano a scuola. Ti insegnano che l’insieme delle persone è un incessante processo di costruzione ed elaborazione di relazione con altri soggetti.
Entrare in questo sistema virtuoso è immediato, ovviamente bisogna dimostrare di sapercela fare di avere competenze e capacità, qui se qualcuno ad un buffet ti dice: Si, la proposta è interessante! stai sicuro che il giorno dopo riceverai una telefonata e la richiesta di un appuntamento.
Naturalmente, questo modo di ragionare e agire non alimenta l’individualismo, tanto amato in Italia, e che impone al Bel Paese una situazione mentale che prende in considerazione solo la soddisfazione del proprio interesse a discapito di quello di un altro, e non gli fa capire l’importanza di questo valore. Un valore che fa risparmiare denaro, aumentare il giro d’affari e migliorare il territorio sociale nel quale l’impresa opera.
Quello che penso, è che le aziende italiane, come accadeva a me, sentano la necessità della rete, anche informale, ma da essa pensano solo di poter trarre qualche vantaggio diretto, indipendentemente dai vantaggi degli altri. Un operare che presto o tardi alimenta la diffidenza nella rete, con danni che a questo punto si moltiplicano, togliendo fiducia al valore che essa ha e soprattutto nelle persone. Dalla mia esperienza posso solo dirvi che non è un problema culturale, ma in Italia c’è un virus che ha infettato tutto e nonostante grandi proclami nessuno vuole somministrare l’antibiotico.
Lucia