Cosa mi piace di Londra

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Siccome ho tempo da perdere, ho deciso di scrivere quali sono gli aspetti di Londra che mi hanno maggiormente colpito in questi mesi. E siccome sono ordinato, ho deciso di raggrupparli in due pratiche e tascabili liste: 5 “mi piace” e 5 “non mi piace”. Si tratta di opinioni affrettate, altamente personali e piene di generalizzazioni, ma se volete dateci una letta.
Pronti? Via!

I 5 “mi piace” di Londra

1) Volemose bbene
Una particolarità che mi ha colpito fin da subito è l’incredibile tolleranza che questa città sembra avere per tutto ciò che è “diverso”: stranieri, gay, emarginati. Al di là delle discriminazioni che possono nascere autonomamente tra le diverse comunità, non c’è dubbio che lo Stato cerchi in ogni modo di aiutare le persone a prescindere dalla loro origine, nella speranza che queste contribuiscano, giorno dopo giorno, al progredire della città stessa.
In giro per la città si trovano monumenti dedicati agli immigrati, manifestazioni dedicate a specifiche comunità (ad es. il capodanno cinese), luoghi di culto di vario tipo, mostre fotografiche e musei dedicati alle minoranze etniche. Questa apertura al diverso ha storicamente fatto la fortuna di Londra, che ha periodicamente cercato di attirare persone dalle varie parti del globo per colmare le lacune del proprio sistema professionale: dai tessitori ugonotti ai gioielleri ebrei, dai navigatori olandesi ai cuochi italiani. Il risultato è che ogni comunità che, per un motivo o per l’altro, è fuggita dal proprio Paese, ha portato con sé le proprie esperienze e ha avuto modo di metterle in pratica qui.
Non molto è cambiato da questo punto di vista, e se Tony Blair ha contribuito allo svecchiamento dell’immagine inglese, trasformandola nella “Cool Britannia”, ora Londra riesce a sfruttare a proprio favore la crisi economica che colpisce i Paesi del Mediterraneo arricchendosi ogni giorno di nuovi talenti stranieri.

E non si tratta solo di “fuga dei cervelli”, molte persone vengono a Londra semplicemente per avere la possibilità di sopravvivere. Esistono infatti efficienti uffici di collocamento, sovvenzioni per i disoccupati e i malati gravi possono usufruire della sanità gratuita, anche se sono senza tetto. Insomma, a Londra hanno capito prima di altri che le persone possono portare ricchezza e lavoro al Paese, basta essere in grado di offrire loro una casa e delle cure, e chi se ne frega se sono bianchi, gialli, gay, neri o nomadi. Vallo a spiegare ai leghisti.

2) New is always better (cit.)
Londra è un’enorme cantiere, sia reale che ideologico. Dovunque mi giri, trovo lavori in corso per nuovi grattacieli, nuove linee della metropolitana, nuovi monumenti, nuovi ristoranti. E voi direte: “bella forza, c’hanno i soldi, per forza si possono permettere tutti ‘sti nuovi cantieri”. Certo, Londra è una città ricca, gli inglesi hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, sono il partner n°1 degli USA, hanno ancora una propria moneta, non hanno né la mafia né Berlusconi. Ma c’è di più. C’è di fondo una mentalità diversa dalla nostra, per cui PRIMA si costruisce e POI si discute. Prima si prova a fare qualcosa e poi, se è il caso, ci si lamenta. Esattamente l’opposto di quello che avviene in Italia, dove solitamente ci si perde per anni in discussioni, carte, burocrazia e bustarelle per poi fermare i lavori perché, a forza di passare le carte da un ufficio all’altro, sono finiti i soldi. Qui invece si costruisce, tanto e in fretta. Per questo il paesaggio londinese è un’immensa cacofonia architettonica, con grattacieli high-tech costruiti a fianco di chiese secolari. Il mese scorso qui hanno inaugurato un nuovo, futuristico grattacielo: lo Shard. L’hanno fatto progettare ad un italiano (Renzo Piano), l’hanno costruito in 4 anni e adesso se i turisti vogliono godersi la vista dall’ultimo piano, pagano un biglietto di 25€.

E noi, cosa abbiamo? Abbiamo la Salerno-Reggio Calabria, un cantiere aperto dal 1956. Abbiamo il ponte della Costituzione a Venezia, costruito in 6 anni, progettato da uno spagnolo (Calatrava), tra l’altro l’unico ponte in vetro di Venezia, che ha solo ponti in marmo, legno o ferro battuto. Talmente apprezzato che la gente ci va sopra in macchina.

3) Tutti nella stessa barca
L’accoglienza che mi hanno riservato i londinesi è stata una gradita sorpresa che mai mi sarei aspettato di ricevere. Prima di partire, avevo un’idea stereotipata di come gli inglesi, e in particolare di come gli abitanti di una capitale si dovrebbero comportare: freddi, distaccati, asociali. Non avevo considerato un fatto: Londra è abitata all’80% da immigrati (o discendenti di immigrati). La maggior parte delle volte mi sono trovato ad avere a che fare con indiani, africani, spagnoli, turchi, greci, cinesi, polacchi, slovacchi, francesi. Un insieme eterogeneo di persone accomunate dal fatto di trovarsi a Londra per necessità. Laureati, madri di famiglia, disoccupati, giovani professionisti, tutti nella stessa barca, spesso costretti a lavorare in condizioni difficili, ma estremamente disponibili e gentili. Sorridenti nonostante tutto.
Qui ho visto una bella solidarietà, piccole gentilezze e una disponibilità ad aiutare il prossimo che spesso mi portava a pensare di trovarmi in un piccolo paese di montagna, piuttosto che in una gigantesca, alienante metropoli.

4) Tutto succede a Londra
A Londra c’è tutto. L’Inghilterra è sempre stata “Londocentrica”, dato che qui c’è la casa Reale, la sede del Primo Ministro, il cuore politico, religioso e finanziario del Paese. Di conseguenza, si ha l’impressione che tutto avvenga a Londra.
I migliori musical? A Londra. Le librerie su quattro piani? A Londra. Il cinema con il più grande schermo in Europa? A Londra. Il concerto segreto di Kavinsky? A Londra. Quel negozio di abbigliamento che non trovi da nessuna parte? A Londra. La tomba di Marx? A Londra pure quella. Inoltre, essendo una società fortemente improntata al consumo, Londra è un vero paradiso per gli shopaholic, i consumatori ossessivo – compulsivi, o comunque chiunque abbia un bel po’ di soldi e frema dalla voglia di spenderli.
Non è il mio caso, ma è comunque stimolante vivere in una città così vivace, pronta a soddisfare tutti i bisogni dei suoi abitanti, soprattutto quelli più superflui.

5) Chi si ferma è perduto
Londra è in continua trasformazione, e lo è perché le persone che la abitano sono anch’esse in continuo movimento. Da quello che ho potuto vedere del mondo del lavoro, a Londra si ha la concreta opportunità di cambiare continuamente occupazione. Non è un processo facile e immediato come si può pensare dall’esterno, richiede mesi, impegno e tanti sacrifici, ma si può fare. Ho avuto l’impressione che per i londinesi il posto fisso suonasse quasi come una condanna, e in un certo senso capisco il loro punto di vista. Perché incastrarsi a fare lo stesso lavoro per decenni, quando si ha la possibilità di buttarsi continuamente nel mercato del lavoro, di reinventarsi, di provare nuove esperienze e cercare nuovi impieghi, magari in posizioni migliori o maggiormente retribuite? E’ un discorso che fila, e che qui è supportato dall’effettiva possibilità di cambiare lavoro, a patto di avere acquisito la giusta esperienza e le giuste conoscenze.

A Londra si può fare, perché l’offerta di lavoro è alta (ma attenzione, è alta anche la domanda). Tanto per darvi un’idea di questa differenza culturale, a Londra una persona che lavora da più di un anno per la stessa azienda è percepita come un lavoratore fisso. Da noi, anche dopo tre anni di praticantato, anche se hai ormai 30 anni, probabilmente in azienda si rivolgono a te chiamandoti “il bocia”.

Luca Brazzale

Tratto da Scambieuropei. Leggi i 5 non mi piace di Luca

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