Il direttore: Walter Zambaldi #Iteatranti3

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Se gli si chiede dove è nato risponde “in un cortile”, per la precisione: “Quello tra via Glorenza in via Resia, nella casa d’angolo che stava sopra al mitico bar Roby, nel cuore di Shangai a Bolzano”. E’ una risposta che dice molto del direttore del Teatro Stabile di Bolzano, perchè, ovviamente, la madre non l’ha partorito all’aria aperta in uno spiazzo circondato da palazzi di periferia, ma per Walter Zambaldi, quello è il suo luogo di nascita, quello in cui passava le giornate divertendosi insieme agli amici.
Di famiglia trentina, trasferitasi a Bolzano perchè il padre aveva trovato lavoro all’Iveco di Bolzano, Zambaldi ha studiato prima alle Marthin Luther King di via Parma, poi al centralissimo Rainerum: “La mia famiglia non voleva che prendessi una brutta piega” e ai tempi si sceglievano le scuole anche per quel motivo.

Il teatro, però, l’ha incrociato in trasferta, lontano dal cortile di casa, alla “Colonia 12 stelle” di Cesenatico: “Insieme alla chitarra e alla musica, ho assistito alle prime rappresentazioni. Nella sua forma completa, però, ho potuto apprezzare il teatro solo al liceo, quando andavo a prendere i biglietti omaggio per gli spettacoli ospitati alla Galleria Telser (Quello che oggi è chiamato il teatro di Gries Ndr). Li metteva a disposizione la Provincia attraverso i centri civici e giovanili e ne facevo incetta”.
Il passaggio da spettatore a lavoratore del teatro è stato rapidissimo: “Ho iniziato come uditore poi come suggeritore e ho ricevuto il primo stipendio da teatrante che avevo 21 anni. Poi sono entrato nella macchina del teatro bolzanino e ci sono rimasto fino ai 27 anni. Ho fatto di tutto: lavori tecnici, gestionali e artistici, assistente alla regia, direttore di scena, amministratore di compagnia, e, fuori dallo Stabile, il laboratorio di scrittura scenica in carcere…”.
Nonostante gli impegni, nel 2002 ha lasciato il capoluogo altoatesino per Genova . “Ho avuto l’occasione di andare in tournè con lo spettacolo-concerto “Bukowski. Confessioni di un genio” e l’ho colta al volo. Il protagonista era Alessandro Haber, la regia e la drammaturgia di Giorgio Gallione, una produzione dell’ Archivolto di Genova, con musiche dal vivo del Velotti-Battisti jazz ensemble.

Uno spettacolo ambientato “in una vecchia stanza trasandata, a metà tra una camera d’albergo polverosa e un locale notturno di infima categoria” che ha finito per avere una notevole importanza sia nella nascita di “Tempo di Chet”, quel mix tra jazz, stanze d’hotel e teatro gli è rimasto “dentro”, che, soprattutto, dal punto di vista lavorativo. “E’ stato un periodo intenso e di grande lavoro, ho svolto una serie di mansioni diverse e ormai mi stavo specializzando nel non specializzarmi”. Al termine della tournè è finito a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia: “Dovevo restarci un mese, ci sono rimasto 12 anni“.

Nel 2005 è stato nominato direttore de “La Corte Ospitale” (Centro di produzione, formazione e ricerca per il teatro) carica che ha lasciato solo nel 2015 per il suo ritorno a Bolzano. Dal 2009 al 2013 ha anche gestito la stagione del Teatro Massimo Troisi di Nonantola (Mo).
Dal “cortile” alla “corte”, il passaggio non è stato poi così complicato, ma dopo dieci anni di Corte Ospitale è arrivata la chiamata dal “terrazzo di casa”: il bando per la nomina del nuovo direttore del Teatro Stabile di Bolzano in sostituzione di Marco Bernardi.
“Era il giugno del 2014, e non potevo non partecipare. Per chi fa il mio mestiere, dirigere un Teatro Stabile è il massimo. Non è una questione di carriera, ma per chi è interessato alla costruzione complessiva e totale della creatività a teatro, è un’occasione imperdibile. Senza dimenticare che tutto era iniziato allo Stabile di Bolzano, lì avevo imparato a portare avanti di pari passo le questione amministrative, artistiche e gestionali. Mi piace dire che sono entrato a teatro dalle cucine, nel senso che sono entrato dalla pancia, approcciandolo dal punto di vista tecnico. E’ stata un’esperienza fondamentale che mi torna utilissima anche oggi”.
Ottenuta la nomina a direttore, ha chiarito subito gli obiettivi: “Instaurare un sistema sano e creativo per realizzare spettacoli di alta qualità”.
A questo si è ispirato, ovviamente, anche “Tempo di Chet”.
Una volta sistematosi sulla poltrona, è arrivato il momento di riprendere la chiacchierata con Paolo Fresu, quella iniziata a Rubiera in compagnia del neonato Andrea.

mb

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