Facciamo un gioco

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Se vuoi vedere Nelson, quell’orsacchiotto australiano sorridente e pacioccone, perdi tempo a fissare un appuntamento da qualche parte: devi andare a casa sua perchè da lì lui non si muove punto. Sulla soglia dei quarant’anni, da una decina in città, il nostro caro amico, l’ho conosciuto ad un corso tempo fa, ha deciso che il mondo non aveva più nulla di interessante da offrirgli e ha già tirato i remi in barca.

Non mi fraintendere però, non stiamo parlando dell’etilista vecchio stile, canotta unta di pessimismo e moglie battuta, per carità, le sue birrette se le beve pure lui, come saprai bene se mai hai conosciuto un australiano, ma per sfizio, mica disperazione, anzi, se proprio glielo vuoi chiedere Nelson è proprio una persona felice, che dorme tranquillo senza guai nè tormenti.

Ogni mattina lui cammina in ufficio – eh sì, i fortunati esistono anche qui – poi ne ritorna che appena son passate le cinque, sale le scale sopra il caffé hipster di East Finchley, si toglie giacca e scarpe e si butta sul divano. Di fronte a lui uno schermo delle dimensioni di una porta-finestra si illumina, assieme a una mezza dozzina di lucine colorate, e inizia la grande sessione serale di videogiuoco. Il weekend invece la cosa diventa full-time, con giusto una pausa per la doccia settimanale e il kebab da asporto del sabato sera. Gli altri pasti? Sacchetti misteriosi, patatine, meteore di pollo, impasti industriali, tutti belli fritti e panati, pronti per il microonde. Sì, una dieta del genere esige il suo tributo e a guardarlo bene il ragazzo non è proprio in forma, sempre gioviale ma non esattamente il ritratto della salute, né tantomeno della bellezza, ma in fondo, a chi vuoi che importi, a lui no di certo, soprattutto da quando ha preso appunto la decisione di ritirarsi a vita estremamente privata e di mandare tutto il casino e tutti i pazzi là fuori ad espletare le proprie funzioni fisiologiche.

A cosa serve, uscirsene, fare la fatica di socializzare, sopportare i guai altrui e nascondere i propri, fingersi interessati a femminili vacui discorsi e ritrovarsi poi ad aspettare un autobus che non arriva mai alle quattro del mattino. Lui quello che vuole già ce l’ha, e non c’è cosa sul pianeta che lui non possa fare o vedere dalla conca del suo divano. Puoi sfrecciare a Montecarlo, salvare Gotham City, acchiappare fantasmi e ammazzare zombie, poi se proprio senti che ti manca qualcosa basta quella levetta là dietro a far apparire sullo schermo la grande rete e tutto l’amore che vi ci puoi trovare.

Un pazzo? Un asociale? Il frutto andato a male di una civiltà in decadenza? Non so, non ne sarei così sicuro, ma se c’è qualcosa su cui puoi star sicuro è che Nelson non è il solo, in una città in cui i videogiochi, il cui volume d’affari ha da molto e di molto superato quello del cinema, rubano i grandi cartelloni a libri, film e musical e gente è disposta a starsene due giorni in coda per accaparrarsi le prime copie delle nuove e sempre più strabilianti uscite. Non stare dunque qui ad arricciare il naso, a gridare all’alienazione e alla solitudine dell’uomo moderno, dico: l’hai visto l’ultimo Call of Duty? E hai mai abbordato o cercato di avere una conversazione decente con una grassa bionda brilla a sera tardi? Di’ pure quello che vuoi, ma io questo sabato lo passo a casa sua.

Davide Miozzi

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