Le fake news? Non solo sul web, nascono sulla carta stampata

Settantaseimila persone. L’undicesima edizione del Festival di Internazionale a Ferrara è un successone. Fra i 130 appuntamenti in programma, non si poteva certo evitare di discutere di un tema estremamente attuale e spinoso, come quello delle notizie false. O come si usa dire ai tempi del web: fake news. A parlarne, nella mattinata di sabato 30 settembre alla facoltà di giurisprudenza dell’ateneo ferrarese, il giornalista Matteo Grandi, che ha recentemente pubblicato il libro Far web, Massimo Bordin, storica voce di Radio Radicale e collaboratore al Foglio, Eric Jozsef, corrispondente dall’Italia del quotidiano francese Libération e Roberto Santaniello che lavora nell’ambito della comunicazione per la Comunità Europea. A moderare l’incontro è Gian Paolo Accardo di ‘Vox-Europe’.

«Spessissimo le notizie false – spiega Grandi –, sono funzionali ad accrescere e consolidare i molti pregiudizi che caratterizzano la società in cui viviamo. L’immigrazione è la tematica sulla quale sono state prodotte il maggior numero di notizie false». Non solo sulla rete. Le fake news occupano una parte significativa dei giornali cartacei, «ed è per questa ragione – sostiene Bordin – che l’opinione pubblica è sempre più diffidente nei confronti degli organi di stampa. Ma la sfiducia non riguarda solo l’informazione e arriva a toccare molti altri settori. Dalla sanità alla giustizia».

Il cambiamento profondo della società. «Mentre negli anni Cinquanta – prosegue Bordin – il fatto che una notizia fosse riportata dalla televisione era una garanzia di ufficialità e non ci si sognava in nessun modo di metterla in discussione, ora la frase ‘l’ho sentito in tv’, riferita ad una notizia, è quasi un’offesa». Il corrispondente della testata francese non ha alcun dubbio sul fatto che «la grande diffusione delle fake news è iniziata dopo l’attentato alle Twin Towers, nel 2001. L’opinione pubblica non ha più accettato un’unica lettura di un fatto e ha accettato la teoria del complotto. La rete ha sicuramente contribuito alla diffusione di false e distorte visioni del fenomeno, anche terroristico, ma quello che più spaventa è la velocità con la quale le notizie si diffondono».

Dalle false notizie non si salva neanche la Comunità Europea, che – come ricorda Santaniello – «è stata vittima, in particolare negli anni Novanta, di quelle che gergalmente abbiamo chiamato ‘eurobufale’ o ‘euroballe’. Dalla forma delle fragole (magicamente diventate triangolari) alla lunghezza delle orecchie dei cocker. Attraverso la diffusione di queste bufale, si voleva dare l’idea che la comunità fosse attenta ai problemi quotidiani». Ma sulla rete c’è un problema diverso, più subdolo, più insidioso. «Quando si riscontra la falsità di una notizia, diffusa sulla rete – dice –, difficilmente si riesce a risalire all’autore. C’è un problema di responsabilità, che talvolta sfocia nel penale».

Sui social, si sa, le bufale corrono e raccolgono ‘like’ e condivisioni. Anche se – come ricordato da Grandi – «Facebook sta abbassando la soglia di tolleranza, per fare in modo che le bufale girino sui social il meno possibile», il problema è ancora aperto e reale. «Sarebbe necessaria – sostiene Grandi – un’utenza, sui social, in grado di valutare e distinguere le fake news dalle notizie vere. In questo modo la rete potrebbe essere un’utile strumento per arginare le stesse bufale». Il ‘vil danaro’ però, è alla base di tutto e fa gola. C’è chi sulle fake news «ci sguazza» – dice Bordin –, c’è chi «le produce appositamente» e «soprattutto – incalza il giornalista di Radio Radicale – una parte della politica, sulle notizie false ci ha costruito il consenso e alcuni giornalisti una brillante carriera. Adesso paradossalmente, fare il mestiere del giornalista è molto difficile. Si rende sempre più necessario un controllo attento delle fonti e soprattutto una valutazione attentissima delle testimonianze». Molto spesso le ‘bufale’, sono prodotte «per superficialità – conclude Bordin – e quindi il bravo giornalista è colui che si applica al mestiere in modo serio e che soprattutto cerca di approfondire il più possibile le questioni che tratta».

Federico Di Bisceglie

Foto: dettaglio dell’illustrazione The fin de siècle newspaper proprietor di Frederick Burr Opper via Library of Congress

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