Fatti e misfatti dell'esercito regio italiano
L’appuntamento è per domani, martedì 21, in piazzetta Gasparotto a Padova (ore 21), quando di Una lunga scia color cenere ne parleranno l’autore Bruno Maran, Irene Barichello, dell’Anpi di Padova, Davide Gobbo e lo scrittore Pol Vice.
Né un “libro di storia”, né un “manuale”. Ma solo la ricerca spasmodica dei fatti, di quanto è successo, di raccontare e raccontare ancora. Una lunga scia color cenere, sottotitolo Fatti e misfatti del Regio esercito ai confini orientali, (ed La città del sole, Napoli 2012) è il libro di Bruno Maran che racconta quanto combinato dal nostro esercito ai confini orientali.
“Vuol essere un modo semplice di entrare, con l’approccio più accessibile possibile, nei fatti. Con la voglia di uscirne con le idee più chiare e con l’interesse a continuare l’approfondimento, nonostante gli inevitabili errori o imprecisioni che un lavoro propedeutico contiene. A poco servono i Giorni del Ricordo, monopolio di odi mai sopiti, di gruppi decisi a non voler dimenticare solo per giustificare la loro esistenza, di ricordi usati più per attaccare che per giustificare. Non sono certo le calunnie e le falsità, le pietre su cui fondare il senso del Ricordo, che invece deve basarsi sulla Verità anche se scomoda. Il tempo deve lenire il dolore, non rinfocolare continuamente il passato”
“Sul muro scrostato qualcuno aveva scritto ŠMRT FAŠIZMU con la vernice rossa. Li avevano messi in fila lì davanti. Dalle facce non trapelava niente. Chiuse, assenti. Come le finestre del villaggio. Il capitano strillò l’ordine alla compagnia. I militari italiani si schierarono, fucili in spalla. Quasi tutti riservisti. L’ufficiale era il più giovane, baffi ben curati e bustina di stoffa grigia inclinata sulla fronte. I condannati alzarono gli occhi per guardare in faccia i carnefici. Essere certi che fossero uomini come loro. Erano abituati alla morte, anche alla propria, assuefatti da migliaia di generazioni trascorse. Dall’altra parte occhi bassi, sensazioni riflesse allo specchio. Le due fila si fronteggiarono immobili, come statue abbandonate sul prato…”
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