Galina Balashova, l'”interior designer” delle astronavi al Vitra Design Museum

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Come è abitare in una manciata di metri, in una navicella lanciata nello spazio e avvolta dall’oscurità cosmica? Come sentirsi a proprio agio e muoversi, mangiare, dormire, in totale assenza di gravità? Queste le domande che Galina Balashova si è posta per decenni, quando, dal 1963 al 1986, ha lavorato alla progettazione di interni delle navicelle e stazioni spaziali sovietiche. Nata nel 1931 a Kolomna in Russia, dopo gli studi all’Istituto di Architettura di Mosca, Galina inizia a lavorare all’Okb-1, l’Agenzia spaziale sovietica (poi ribattezzata Rkk Energiya).

La sua figura è solo una delle tante tra quelle di donne designer e architette presentate nella mostra “Here We Are! Women in Design 1900 – Today”, visibile fino al 6 marzo 2022 al Vitra Design Museum di Weil am Rhein, Germania.
Passando in rassegna le opere di 80 donne attive nel design dal 1900 ad oggi, l’esposizione mira a riscrivere interi capitoli della storia di questa disciplina, restituendo meriti e sottolineando i contributi dati da tante designer e architette negli ultimi 120 anni. Un contributo troppo spesso ignorato nei libri di storia e rimasto a lungo nascosto agli occhi dell’attenzione pubblica. Come nel caso di Galina Balashova, “scoperta” solo da qualche anno e a cui solo nel 2015 il Deutsches Architekturmuseum ha dedicato una mostra.

Galina Balashova è stata una pioniera in un settore che di fatto non esisteva, come l’architettura d’interni per le navicelle spaziali e ha così inaugurato la branca dell’architettura cosmonautica. Unica progettista in una squadra di soli ingegneri e tecnici, Balashowa si ritrova a lavorare nel 1963 per la progettazione degli interni della navicella Sojuz. In realtà è un incarico che svolge in maniera ufficiosa – e gratis! – perché di fatto è pagata come ingegnere per occuparsi l’aspetto tecnico dell’arredamento. Passerà un intero anno prima che questo lavoro venga riconosciuto ufficialmente. Nel frattempo Galina si porta gli schizzi a casa e ci lavora la sera.

Nella mostra al Vitra, vediamo uno di questi primi suoi disegni ad acquerello del 1963 per l’interno del Sojuz: è come sbirciare dall’oblò della navicella, la prospettiva è deformata eppure percepiamo un interno di poltrone e mobili nitido, morbido, in colori pastello e rilassanti. Il successo degli spazi creati da Balashova stava nella sua capacità di immaginare le funzionalità concrete, pratiche, necessarie all’abitare quotidiano degli astronauti dentro la navicella, invece di rispondere a un’idea astratta di design. Ecco perché i mobili sono adeguati alle caratteristiche ovoidali dell’abitacolo ed evitano spigoli affilati e angoli appuntiti, mentre per gli oggetti vengono concepiti speciali sistemi di fissaggio, per non farli vagare nel vuoto e magari ferire gli astronauti.

Per abitare bene un ambiente, la funzionalità è necessaria, ma non sufficiente. La forza di gravità rende difficile stabilire un sotto e un sopra, quell’orientamento così necessario al nostro essere umani. Nell’intervista rilasciata ad Aljona Sokolinikowa, co-curatrice della mostra, Balashova dice di aver scelto colori terrosi per i mobili, per creare un contrasto con il verde del pavimento e il soffitto giallo chiaro della navicella. Nella stessa occasione, l’architetta racconta che negli schizzi di alcune sue “stanze spaziali”c’erano anche quadri appesi alle pareti. Quando i progetti vengono accettati, sarà lei stessa a fornire i quadri, acquerelli con paesaggi di sua creazione legati a ricordi d’infanzia, che dovevano aiutare gli astronauti a sentirsi meno lontani dalla terra. Le opere sono “a perdere”, destinate a rimanere bruciate insieme agli altri elementi della navicella al momento del rientro, con l’impatto nell’atmosfera terrestre. Leggenda vuole che qualcuno se ne sia salvato, nascosto dentro la tuta di un astronauta lungimirante.

Installation view “Here We Are! Women in Design 1900 – Today” © Vitra Design Museum, Photo: Christoph Sagel 

I progetti di Balashova continuano a essere apprezzati negli anni, tanto che nel 1973 progetta, per la prima volta, degli interni d’astronave pensati per essere mostrati in diretta sugli schermi tv di tutto il mondo, per lo storico “abbraccio” in orbita delle navicelle Apollo e Sojuz nel luglio 1975. Grandi possibilità di ideare e progettare insomma (del resto la prima donna a volare in orbita era stata proprio un’astronauta russa, Valentina Tereškova, nel 1963), a cui è seguito un riconoscimento pubblico estremamente tardivo. Eppure, nonostante la frustrazione, nell’intervista per la mostra al Vitra, Balashova racconta che forse proprio questo mancato riconoscimento è stato, inizialmente, “garanzia di grande libertà creativa perché nessuno si immischiava nel mio lavoro e a livello artistico ero totalmente libera”. Libera di progettare, in una “stanza tutta per sé”, stanze in orbita nello spazio infinito.

Caterina Longo

Immagine di apertura: Galina Balashova, Skizze des Innenraums des orbitalen (Wohn-)Abteils des Sojus-Raumschiffs. Variante 1, 1963, © Kosmonautenmuseum, Moskau  

di Caterina Longo

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