Geografia libanese - 2

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“Venti di guerra sul confine meridionale”. Apre così oggi, in prima pagina, il quotidiano di Beirut in inglese Daily Star. Lunedì all’alba una pattuglia dell’esercito israeliano è entrata in territorio libanese, innescando immediatamente uno scontro a fuoco che per fortuna non ha provocato danni né feriti.  Ma, considerata la situazione tra i due paesi, “si può passare da un incidente come questo ad una guerra in poche ore” secondo le parole di Michael Williams, rappresentante dell’ONU in Libano.

La linea di confine tra Israele e Libano, detta “Blue Line”, è un confine purtroppo tristemente famoso. Spesso, nel corso degli anni, sono iniziate qui, con piccole schermaglie tra i due eserciti che si osservano e spiano notte e giorno, le guerre che hanno poi devastato il Libano. Nel 2006, in seguito al sequestro e l’omicidio di alcuni soldati israeliani da parte delle milizie di Hezbollah proprio sul confine, il governo di Tel Aviv scatenò un’offensiva militare che durò 33 giorni e costò la vita ad un migliaio di persone, distrusse infrastrutture in tutto il paese e rase al suolo interi quartieri di Beirut.

Da quando sono qui, questa è la terza volta che assisto a problemi sulla Linea Blu.

Un anno fa, un pretesto futile come il taglio di un albero proprio sul confine scatenò un fuoco incrociato che causò 5 morti.

Il 15 maggio di quest’anno, in occasione dell’anniversario della “Nakba” (la sconfitta), la creazione dello stato di Israele, 10 giovani palestinesi sono stati uccisi e oltre un centinaio feriti dall’esercito israeliano mentre cercavano, con un gesto simbolico e disperato, di avvicinarsi al confine per issare bandiere e lanciare qualche pietra.

E lunedì questo ennesimo scontro, anche se meno grave.

Nonostante la vitalità e la frenesia di Beirut assorbano quasi tutte le energie, e riescano a nascondere i timori di una guerra che vista da qui sembra davvero inverosimile, vivendo in Libano si è al corrente che tutto può davvero cambiare in poche ore.

Per rendermi conto di persona almeno un po’ di cosa significa questo confine, qualche mese fa, mi sono spinto con la macchina fino al confine con Israele per percorrere una delle strade che costeggia questa frontiera così significativa per il destino e l’equilibrio di tutto il Medio Oriente.

La parte libanese la conoscevo abbastanza bene: Oxfam lavora da 3 anni nello sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento nella zona di Aytaroun e Bint Jbeil, cittadine vicine al confine. Il paesaggio è spesso brullo, le zone verdi sono poche, molti campi sono delle pietraie dove a mala pena possono pascolare le capre. Il disordine urbanistico, presente in tutto il paese, qui è accentuato dalle continue distruzioni e ricostruzioni che impediscono una qualsiasi programmazione. Di fianco a piccole case di contadini sorgono ville enormi e lussuose, disabitate, costruite da emigrati libanesi che sognano un giorno di tornare in patria, creando dei contrasti paradossali.

Avvicinandosi al confine, lungo strade sterrate ed in cattive condizioni, si comincia a intravedere la linea invalicabile che divide i due paesi, una striscia continua di reti e filo spinato, ed ogni tanto, da una parte o dall’altra, qualche torre di guardia o qualche antenna. In posizioni strategiche, all’imboccatura di strade, in cima a colline, all’ingresso dei villaggi, si trovano i blindati bianchi della forza di interposizione UNIFIL. Fermandomi a chiedere informazioni, parlavo con soldati ghanesi o nepalesi, ed incrociavo continuamente pattuglie di francesi, spagnoli o italiani. Sono loro, che sembrano catapultati da un altro mondo, a garantire una certa stabilità, od almeno a provarci.

Guardando dall’alto di qualche collina, la differenza tra i territori libanesi ed israeliano salta all’occhio immediatamente. Da una parte terreni incolti, abbandonati e probabilmente minati, dall’altra coltivazioni lussureggianti, oliveti, boschi di cipressi, insediamenti moderni e ordinati.

Mi venne in mente un ricordo di molti anni fa, quando feci un viaggio nella Berlino ancora divisa: Berlino Ovest era esageratamente lussuosa e votata al consumismo, ed io lo interpretai come una dimostrazione chiassosa di superiorità. Allo stesso modo, dicono che da La Habana, durante i frequenti black out, si possano vedere le luci della sfavillante Miami.

Questo modo di ostentare ricchezza verso un vicino più debole, e, nel caso del Libano, martoriato da violenze e guerre in cui Israele ha sempre avuto un ruolo da protagonista, è una forma di violenza subdola, quotidiana, che credo possa trasmettere un risentimento ed un rifiuto che aumentano quotidianamente, goccia a goccia, in chi la subisce.

Interrompendo il flusso dei miei pensieri, il collega libanese che mi accompagnava mi fece notare in cielo la striscia bianca di un aereo da guerra israeliano, che entrava in territorio libanese, e poi, con un’ampia virata, ritornava indietro. “Ci stava seguendo”, mi disse con una risata sarcastica, ed anche questo è un segnale della distanza, enorme, tra i 2 paesi.

Francesco Pulejo

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