Gli alpini sfilano a Bozen, e questa volta l’Italia conquista il cuore del Sudtirol

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Vedere Bolzano tappezzata col tricolore italiano da un mese a questa parte, pronta per l’adunata degli alpini che si conclude con la sfilatoa di oggi, aveva scatenato veementi proteste da parte degli autonomisti della Südtiroler Freiheit. Nessuna meraviglia, quindi, se negli ultimi giorni sono state decine le bandiere strappate o rubate in ogni angolo della provincia e della città. Certo, sul fatto che la popolazione altoatesina di lingua tedesca non avrebbe fatto i salti di gioia alla prospettiva di vedersi “occupata” da più di 300.000 penne nere, non c’erano molti dubbi. Ma che a pochi giorni dall’adunata un fantasioso mitomane, firmatosi “Brigate Rosse – colonna Mara Cagol”, inviasse una lettera di minacce a alcuni consiglieri provinciali di lingua (e identità) italiana deprecandone il comportamento “fascista” e minacciando gesti plateali nella giornata clou della manifestazione, era un’ipotesi che superava il parto dell’immaginazione più fervida, avvicinando autonomisti sudtirolesi e anarchici trentini nella lotta contro lo stesso “nemico”: l’italiano “dittatore e colonizzatore”. Potremmo dire che siamo di fronte all’ennesima prova della poliedricità di questa terra, che purtroppo continua a vedere nella propria varietà un ostacolo e non una risorsa. Ma così è.

Attesa come una grande festa di paese dalla maggior parte dei bolzanini (che per il 70% si dichiarano di madrelingua italiana), accolta con indifferenza nel migliore dei casi (dalla Südtiroler Volkspartei e dal suo giornale di riferimento, il Dolomiten) e con malcelato fastidio nel peggiore dei casi (dagli eredi dei bombaroli degli anni Sessanta al seguito di Eva Klotz e dai nazionalisti Freihetlichen), l’adunata degli alpini numero 85 porterà la manifestazione per la seconda volta dal 1949 nella conca di Bolzano. E però si può dire a ragione che si tratta di un esordio, visto che da allora il Sudtirolo ha cambiato volto, passando attraverso gli anni delle bombe e dei trattati internazionali, ha seguito e sepolto Silvius Magnago prima di entrare, dal 1973, in quella che viene ormai chiamata “era Durnwalder”. Il Presidente della giunta provinciale, va detto, il gesto l’ha fatto: alla presentazione ufficiale ha annunciato che lui alla grande sfilata di penne nere programmata per domenica ci sarà. Anche se all’interno del suo partito non tutti sono della stessa opinione.

Poche settimane fa il Landeshauptmann aveva dovuto invece prendere le distanze da un’altra sfilata, quella degli Schützen, arrivati in tremila da tutta la provincia, dal Trentino e dall’Austria, per chiedere armati di fiaccole il distacco del Sudtirolo dall’Italia e la riunificazione del Tirolo storico. Per quanto i tiratori avessero smentito qualsiasi intenzione polemica con l’adunata, va da sé che quella del 14 aprile scorso è stata ribattezzata subito “La marcia anti-alpini”. Cappelli piumati contro penne nere insomma. In quell’occasione il timore era quello di un gesto plateale da parte dei nazionalisti italiani, adesso nei tre giorni dell’adunata le misure di sicurezza dovranno prevenire i colpi di testa degli indipendentisti più agguerriti o di qualche anarchico solitario. A scanso di equivoci anche il percorso della sfilata è stato accuratamente tracciato attraverso la parte “italiana” di Bolzano (quella cioè di più recente costruzione), lontano dalla città vecchia e dallo storico quartiere tedesco di Gries. La stessa ratio – evitare qualsiasi cosa che sia percepita come elemento di disturbo da una o dall’altra parte – ha spinto il sindaco Luigi Spagnolli a negare alla Südtiroler Freiheit di Eva Klotz l’autorizzazione a affiggere in città due grandi manifesti con le scritte «Tirolo ingiustamente diviso» e «Sudtirolo non è Italia». La primogenita del bombarolo Georg Klotz e colleghi dovranno quindi ripiegare su una meno plateale azione di volantinaggio. Scopo dell’iniziativa sarà quello di «informare sulla vera storia dell’Alto Adige e sui relitti fascisti», ovvero i monumenti del Ventennio, considerati i simboli dell’occupazione italiana della provincia.

Silvia Fabbi

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