I 15 anni di Genova e la tortura che non c'è

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Il ricordo di 15 anni fa è seppellito dentro, da qualche parte. Ero al Corriere, a fare uno stage: guardavo le immagini in tv incredulo. Genova, gli scontri, la morte di Carlo Giuliani, le divise che manganellano a caso. E da allora è come se fossi rimasto così, anzi, sono rimasto così: a guardare, incredulo. Ne ho fatto la mia professione. Osservo, ascolto, se posso mi avvicino il più possibile alla fonte e racconto. Il più possibile incredulo, ovvero capace di indignarmi. Quello che un giornalista dovrebbe fare insomma. Non è poco. Ma non è nemmeno tanto. Sicuramente non abbastanza.

«Un altro mondo era possibile», continuo a leggere oggi. E’ vero a livello globale (l’11 settembre, la guerra in Afghanistan, l’Iraq e il disastro in cui ci hanno fatto piombare), ma anche personale. Per me e credo per tutta la mia generazione. Una fetta importante di noi è rimasta lì: incredula, ad osservare. Congelata dalla violenza, congelata dall’orrore. Della morte, di Bolzaneto, della violenza stupida e cieca dei black block e dello Stato. Non è un vanto, anzi: lo scrivo con un pizzico di vergogna. Avrei voluto fare di più, cercare un’altra forma di coinvolgimento e partecipazione. Ho scelto questa, l’osservare incredulo.

E ieri, ascoltando alla radio le deliranti richieste di rinvio del disegno di legge che deve introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura perché «punitivo nei confronti delle nostre forze dell’ordine» e perché – questo si faceva capire senza aver il coraggio di nominare apertamente l’abominio – utile in questo periodo di terrorismo, sono rimasto incredulo un’altra volta ancora. Indignato, ma incapace di fare di fare di più in un Paese dove non si riesce a fare un passo in avanti. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984, ratificata dal nostro paese nel 1988, prevede che ogni stato si adoperi per perseguire penalmente gli atti di tortura. Sono passati 32 anni e siamo ancora qui. A 23 anni, nel 2000, raccoglievo le firme per la stessa cosa. Ho creduto all’impegno dell’attuale governo su questo fronte. Ma dobbiamo aspettare, non c’è fretta. In Italia la tortura non esiste. Genova non esiste. La nostra generazione non esiste. Siamo qui ancora ad osservare, increduli. Con un ricordo ed un impegno dentro, che non si spegne.

 

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