I colori del bianco e nero: “Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003” a Venezia

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Fotografo e fotoreporter, viaggiatore instancabile, Mario De Biasi (Sois, Belluno 1923- Milano 2013) con le sue immagini è stato tra i più grandi narratori del Novecento. L’ampia retrospettiva “Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003” alla Casa dei Tre Oci di Venezia fino al 9/1/2022 presenta oltre duecento scatti del maestro -metà dei quali inediti- ed è un’occasione imperdibile per avvicinarsi alla sua opera, oltre che a un modo di fare giornalismo e fotogiornalismo ormai passato.

Mario De Biasi alla sua scrivania nella redazione di Epoca. Milano, anni ’60 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira

La mostra copre l’intera produzione di De Biasi, dagli esordi della sua collaborazione con la rivista Epoca fino agli ultimi lavori. Insieme alle fotografie sono esposti anche i disegni dell’autore – animali, alberi, teste, cuori e soprattutto soli – quel sole simbolo di vita e bellezza, che De Biasi ricercava in ogni scatto, quel sole ,“elios” in greco, scelto come pseudonimo per firmare i primi lavori. Una sensazione di ridente vitalità percorre la mostra, ripresa anche dagli sfondi colorati su cui “sfilano” le fotografie in bianco e nero di De Biasi: al piano terra domina l’azzurro mentre la tensione cromatica sale ai piani superiori con scelte più calde e squillanti come il rosso e il giallo.

Veduta della mostra, © Luca Zanon

Difficile parlare dell’opera di De Biasi staccandola dalla narrazione delle sue imprese leggendarie, dalla sua ostinata dedizione alla fotografia. Nato nel 1923 a Sois, Belluno da famiglia di umili origini, durante la seconda guerra mondiale viene inviato al lavoro coatto come radiotecnico a Norimberga. Tra le macerie della città bombardata nasce la passione per la fotografia, che coltiverà parallelamente al lavoro di ingegnere radiofonico alla Siemens di Sesto San Giovanni. Passione grazie a cui riuscirà a entrare nella redazione della rivista Epoca nel 1953, iniziando una carriera trentennale, fatta di servizi in tutto il mondo, dal Giappone alla Siberia, da Parigi all’Iran.

Secondo lui “dovunque s’incontra la vita e la bellezza, basta guardarsi attorno”. Ma “le belle immagini deve andartele a cercare, camminare e camminare o anche solo fermarti a guardare con attenzione”. Nella video intervista di Laura Leonelli, presentata in mostra, si vede De Biasi in azione per le strade di Milano: quando qualcosa colpisce la sua attenzione tutto il corpo sembra rapito, in trance, attratto da una forza magnetica e ineludibile che lo spinge a “marciare” verso l’immagine da catturare.

Fotografare era una missione per De Biasi. Una missione -talvolta impossibile- da portare a termine con ostinazione, sprezzo del pericolo e che faceva dimenticare tutto il resto: i -65 gradi in Siberia con un principio di congelamento all’orecchio, le lingue di lava dell’Etna, affrontato da solo perché le guide ritenevano la salita troppo pericolosa. E soprattutto i rivoltosi ungheresi nel 1956 – nonostante una ferita alla spalla De Biasi continua a correre a fianco alla “storia” mentre accade nelle strade, a documentare la violenza, gli scontri, le impiccagioni, ma anche la gente in disparte impaurita. I suoi scatti gli frutteranno, insieme alla notorietà internazionale, l’appellativo di “italiano pazzo”.

Un “pazzo” che voleva cercare il proprio modo di raccontare anche il già noto, celebrità comprese. De Biasi sapeva che per spostarsi dalla narrazione comune bisognava spostarsi “fisicamente”, trovare nuove angolazioni, o momenti. Se i colleghi si accalcano davanti a Sophia Loren, lui si mette alle spalle della diva e scatta nell’attimo esatto in cui lei si volta, regalando solo a lui un sorriso in esclusiva. Egli definiva questi ritratti informali e straordinari “personaggi in maniche di camicia”: ce ne sono decine in mostra – da Maria Callas che ride di gusto al regista Nicholas Ray in mutande dal sarto – realizzati come inviato di Epoca al Festival del Cinema di Venezia, alla fine degli anni ’50.

L’immagine locandina della mostra: “Gli italiani si voltano”, Milano, 1954 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira, Milano

Scatti perfetti, all’apparenza spontanei ed estemporanei, ma dietro a cui in realtà spesso si nascondeva un enorme lavoro di preparazione. Come quello per l’immagine locandina della mostra – forse tra le più celebri di De Biasi- Gli Italiani si voltano del 1954. Nella fotografia una donna vestita di bianco, Moira Orfei, cammina per strada attirando lo sguardo di un gruppo di uomini. Una scena preparata con grande accuratezza e gestita dalla regia di De Biasi che fece camminare Orfei quattro ore per le strade di Milano. E che naturalmente aveva scelto persino il colore dell’abito della star per farlo risaltare. In mostra ai Tre Oci, per la prima volta, l’intera sequenza di cui fa parte la fotografia, che fu anche scelta da Germano Celant come immagine guida della sua mostra al Guggenheim Museum di New York, “The Italian Metamorphosis 1943-1968”.
Un’accuratezza e sapienza tecnica, di mestiere, che caratterizzava sempre il lavoro di De Biasi come fotoreporter e che per molti aspetti è inimmaginabile al tempo della fotografia digitale. Prima di ogni viaggio per i servizi che realizzava per Epoca De Biasi si documentava, partiva già con un piano in mente e si preoccupava perfino del formato delle immagini da scattare, sia orizzontale che verticale.

 

Cancellata del portico del Duomo di Sassari, Sardegna, 1955 © Archivio Mario De Biasi / courtesy Admira , Milano

Al di là delle fotografie di dive e grande imprese, colpiscono, per la vibrante umanità e attualità, le raccolte di fotografie nella sezione “il gesto universale”: botteghe di barbieri, coppie che si baciano negli angoli di tutto il mondo, e una vera e propria mappa di fotografie di pause pranzo dai più diversi continenti. Momenti di vita universali sparsi nel mondo e nel tempo, uniti dal calore dello sguardo di De Biasi.

Catalogo della mostra edito da Marsilio con saggi di Enrica Viganò, Denis Curti e Angelo Ponta.

Caterina Longo

Casa dei Tre Oci
“Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003”
a cura di Enrica Viganò

Fino al 9 gennaio 2022.

Fondamenta Zitelle 43, Venezia
Aperto tutti i giorni tranne il martedì dalle ore 11 alle ore 19

 

di Caterina Longo

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