Il posto di blocco di Qalandiya: il buco nero della Cisgiordania

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Gira e rigira, tutti prima o poi devono passare per Qalandiya. Questo posto di blocco sulla strada tra Gerusalemme e Ramallah è il più famigerato di tutta la Cisgiordania. Traffico, code, controlli estenuanti, tafferugli tra palestinesi e israeliani, copertoni bruciati, gas lacrimogeno: la parola Qalandiya evoca queste immagini sgradevoli nella mia mente, senza nessun aspetto positivo a fare da contrappeso. Quando posso, lo evito. Quando viaggio tra Gerusalemme e Nablus passo per un posto di blocco speciale, Hizma, riservato alle auto e molto più scorrevole. A volte però come questa mattina per un motivo o per l’altro mi tocca venirci.

Molti palestinesi purtroppo questa scelta non ce l’hanno: si muovono con i mezzi pubblici, e sono costretti a passare da qui. Chi vive dal lato del muro di Ramallah ma lavora a Gerusalemme deve fare avanti e indietro ogni giorno. Lasciando Gerusalemme per entrare a Ramallah spesso non ci sono controlli, e l’unico grande fastidio è il traffico. Viaggiando da Ramallah verso Gerusalemme, la procedura è molto più lenta: i palestinesi sono costretti a scendere dagli autobus e ad attraversare a piedi una struttura coperta con griglie di ferro, tornelli, metal detector e un posto di controllo documenti, seguendo un percorso simile a quello di un aeroporto. Il numero di corsie è troppo piccolo rispetto alla quantità di persone, e si formano regolarmente delle lunghe code, anzi degli assembramenti in cui urla, spintoni e strattoni sono la norma. La gente resta facilmente in coda per un’ora intera prima di poter passare. E così nei periodi di punta un tragitto di soli 12 chilometri può prendere due ore intere. Personalmente l’ho attraversato una sola volta a piedi, e spero di non doverlo fare mai più.

Qalandiya è un’escrescenza purulenta del conflitto larvato tra israeliani e palestinesi; Qalandiya è un mostro di cemento e acciaio, brutto, informe, tentacolare; Qalandiya è uno strumento di controllo e di repressione. Sembra disegnato apposta per rendere i flussi di persone ed i controlli più lenti e complicati; sembra studiato per creare ingorghi, imbottigliamenti, confusione, e per aumentare il nervosismo e la stanchezza di chi lo attraversa. Dal lato cisgiordano il viale principale conduce dritto verso Ramallah, ma l’accesso è sbarrato con dei blocchi di cemento armato, e bisogna fare una lunga deviazione ad uncino per una strada stretta e perennemente intasata per ritornare poi quasi al punto di partenza ed imboccare la strada giusta.

Per quale motivo tutte queste complicazioni? Forse gli architetti speravano di scoraggiare una gran parte dei palestinesi e di ridurre il numero di pendolari su Gerusalemme; ma molti di loro non riescono a trovare lavoro in Cisgiordania, e continuano a cercarlo a Gerusalemme o in altre città all’interno di Israele, anche a costo di perdere ogni giorno qualche ora a Qalandiya. Molti altri hanno la famiglia divisa dai due lati del muro; altri ancora vogliono recarsi a Gerusalemme per pregare alla moschea di al-Aqsa, per fare acquisti, o anche solo per svago. Gerusalemme Est è parte dei territori palestinesi occupati e ogni palestinese dovrebbe avere il diritto di visitarla, senza perdite di tempo inutili, frustrazioni e controlli eccessivi e umilianti.


Circa un mese fa ci sono passato in macchina di venerdì pomeriggio per recuperare la mia amica Skye e partire in visita da amici per il fine settimana. Quando ho aperto il finestrino per chiamarla, c’era odore di gomma bruciata e di gas lacrimogeno nell’aria. A una trentina di metri ho visto una pattuglia di soldati israeliani, e dietro di loro in lontananza un gruppo di giovani palestinesi con cui si stavano confrontando. Tutto attorno le macchine e la gente continuava ad andare e venire quasi come se niente fosse. Skye ha aperto la portiera sul lato destro, è montata in fretta in macchina e ci siamo allontanati al volo. Il sabato al tramonto sono tornato per depositarla al punto di partenza. Due o tre chilometri prima di Qalandiya, alla rotonda d’ingresso del villaggio di Ar-Ram, c’erano un sacco di pietre e di sampietrini sparsi sulla carreggiata. A cento metri sulla destra c’era un gruppo di autoblindo militari e di soldati in postazione, mentre a cento metri sulla sinistra un gruppo di ragazzi palestinesi con i volti coperti dalle kefiah montava la guardia all’entrata del paese. Era un breve momento di tregua in una battaglia durata tutto il pomeriggio. Le auto continuavano a circolare in entrambe le direzioni con disinvoltura. I lanci di pietre e di lacrimogeni sono così comuni attorno a Qalandiya che soltanto durante i picchi di combattimento più aspri la gente in transito si ferma e cerca riparo. Il flusso si può arrestare per un minuto o due, ma appena la situazione si calma un istante, tutti riprendono il loro cammino come prima. Altrimenti in questo tipo di giornata si rischia di non arrivare mai.

Qalandiya è il peggior posto di blocco di tutta la Cisgiordania e per questo motivo molte tensioni e frustrazioni si accumulano qui. I giovani palestinesi a cui il permesso di visitare Gerusalemme è stato negato, i figli dei rifugiati sfollati dalle loro terre nel 1948 e mai più autorizzati a rientrare, gli abitanti dei quartieri divisi e sventrati dal muro di separazione vengono spesso qui a sfogare la loro rabbia, e a ricordare al mondo le ingiustizie subite. Lo fanno lanciando pietre contro i soldati e bombe molotov contro le torrette di controllo, ma anche levando in alto striscioni, gridando slogan e messaggi, e dipingendo murales sulle pareti del muro.

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