India, la forza delle idee: lo "zio" Banerjee

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Bhaje, Malavli, Poynad, Bal Asha Ghar, Bhambarde, Shel-Pimpal gaon. Sulla cartina non sono che nomi di piccoli villaggi del Maharashtra. Per molti bambini e ragazzi indiani sono invece la possibilità reale di una vita sicura e spensierata dove costruire il proprio futuro. In questi luoghi infatti sorgono alcuni dei centri SAMPARC (www.samparc-india.org) che in questi giorni abbiamo visitato. Più di 600 bambini tra i 4 e i 17 anni sono distribuiti in 10 strutture situate in varie regioni dell’India. Qui trovano non solo vitto e alloggio ma anche la cura, l’affetto, la comprensione e la sicurezza che la vita gli aveva negato. La maggior parte di loro sono orfani, altri provengono da famiglie distrutte dall’alcool o dalla prostituzione.

uncle Banerjee e ioMa non sono solo i bambini a trarre vantaggio da questi centri ma anche le persone dei villaggi vicini che vengono assunte per cucinare, accudire i ragazzi, fare le pulizie. Si genera così un miglioramento delle condizioni di vita di molte persone. “All’inizio non avevamo né soldi né persone che lavorassero per noi, ma solo la ferma convinzione che l’idea del SAMPARC potesse materializzarsi”, mi racconta Amit Banerjee, fondatore dell’associazione. Sguardo vivido e pulito, sorriso sincero e accogliente, amato da tutti i ragazzi i quali lo chiamano affettuosamente uncle (zio). Uncle Banerjee è un fiume in piena e sprizza pura passione quando mi parla di come è nato il SAMPARC. “Ci sono stati degli eventi e degli incontri fondamentali nella mia vita. Il mio primo esempio di vita fu mio padre, impiegato delle ferrovie indiane, il quale durante la mia infanzia si è dato senza riserve per aiutarmi a crescere e a superare due brutti incidenti che mi avevano causato gravi problemi fisici. Grazie a lui, ho imparato che ogni bambino sostenuto adeguatamente può superare grandi difficoltà”. Successivamente intraprende gli studi superiori e frequenta gruppi di volontariato a contatto con lebbrosi e poveri.

Ad un certo punto incontra Madre Teresa: “Incontrare Madre Teresa, avere la possibilità di stringerle la mano e ricevere la sua benedizione fu per me straordinario, mi diede forza e ispirazione”. Ma era ancora giovane e tra le varie esperienze, scrive come free-lance per una piccola testata locale. “Quella particolare esperienza mi fu molto utile per entrare a contatto con i problemi dei bambini e delle donne soprattutto nei villaggi rurali”. Inizia quindi a lavorare per vari progetti governativi, dirigendo programmi di sviluppo sociale ed economico a sostegno di donne e contadini nelle aree più povere e rurali dell’India. Nel 1990 con una sua collega, Lata Pande, decide di aprire un piccolo centro a BhajeIMG_0302, un villaggio vicino a Lonavla nella ragione del Marahstra. Qui, in una piccola casetta di fango costruita con le proprie mani, raccolgono 7 bambini orfani e iniziano un programma di educazione per le donne che includeva la salvaguardia dei campi coltivati e l’accesso all’acqua potabile. Pochi anni più tardi incontra per caso Lucilla Monti, insegnante di yoga di Milano, venuta in India a seguire gli insegnamenti del Dott. Bholeji, suo maestro. “Ero andata fare una gita con Bholeji alle grotte buddiste che si trovano a Bhaje. In cerca di acqua siamo approdati ad una semplice casetta dove ci accolse il sorriso di Banerjee e quello dei bambini, allora bisognosi di tutto. Ci spiegò del suo progetto e affascinati, gli lasciammo tutte le rupie che avevamo con la promessa di tornare l’anno successivo per vedere come avesse speso quel denaro”.

Uncle Banerjee comprò dei bidoni di alluminio per conservare le derrate alimentari lontano da topi e formiche. In questo modo poteva comprare scorte di cibo a basso costo. Una semplice idea che dice molto sulla lungimiranza di quest’uomo. Da allora quella donazione è diventata più che un semplice finanziamento, più di un’amicizia. Si è trasformata in una collaborazione continua con più di 500 bambini sostenuti a distanza dall’Italia, continue visite ai progetti, partecipazione concreta nelle attività SAMPARC. Da quella prima casetta di fango si è passati a 10 centri di accoglienza, un centro professionale, una scuola in un’area tribale, un centro medico dove si effettuano visite, ricoveri e piccoli interventi chirurgici. Inoltre sono attivi campagne di educazione e sviluppo rurale. I primi bambini orfani sono diventati giovani adulti, alcuni si sono laureati, alcuni di loro sono indipendenti, altri sono sposati e già nascono i primi IMG_0325nipotini di SAMPARC.

Uncle Banerjee è ora affiancato nella direzione da Anuj Singh un brillante giovane di 30 anni. Ma dopo più di 20 anni continua ad essere l’anima pulsante dell’associazione. “Nei prossimi anni ci siamo posti l’obiettivo di migliorare la preparazione del nostro staff per dare un’accoglienza di qualità ai nostri ragazzi mirata al loro sviluppo personale che li faccia crescere come cittadini responsabili e felici”. Ma uncle Banerjee è un uomo saggio, dalle ampie vedute e la discussione si allarga oltre i confini dei centri, spostandosi nella realtà sociale indiana. “L’India è un paese che si trova in una grande confusione, tra le vecchie tradizioni e la nuova spinta che arriva soprattutto dall’occidente – mi dice – la società indiana è sempre più occupata a fare profitto ma senza un programma che miri ad una vera crescita, sfruttando il proprio potenziale. La corruzione aumenta ma il livello dell’analfabetismo non diminuisce sensibilmente. Chi ne fa le spese sono come sempre le classi più povere e i bambini, soprattutto perché il governo, nella sua confusione attuale, non ha un piano per l’istruzione.”

La conversazione con uncle Banerjee mi ha riempita di vitalità e il caos del mondo mi sembra una questione affrontabile finchè ci saranno persone con una luce speciale negli occhi, cuore generoso, braccia instancabili e mente aperta, proprio come lui.

Sara Cogliati

la foto di Sara e Banerjee è di Luciano Cammelli

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