La biblioteca del prigioniero: racconti di un veterano palestinese

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La biblioteca pubblica di Nablus è un edificio imponente e a tre piani, della prima metà del Novecento, costruito in pietra bianca secondo lo stile palestinese. Al suo interno oltre a migliaia e migliaia di libri comuni è ospitata anche un’istituzione particolare: la biblioteca del prigioniero palestinese. Creata negli anni ’90, è stato rilanciata e arricchita durante il 2011, e oggi vengono presentati i risultati di questo intervento.

La biblioteca del prigioniero palestinese è una collezione di libri utilizzati e letti dai carcerati palestinesi durante la loro prigionia sotto le autorità militari israeliane. Contiene circa 8000 volumi. Il corpus centrale di questa collezione proviene dalle biblioteche delle prigioni di Nablus e di Jenin. Dopo il ritiro dei soldati israeliani da queste due città nel 1996, le prigioni vennero trasferite sotto il controllo della nascente Autorità Palestinese, e i libri lasciati dagli israeliani vennero raccolti e donati alla biblioteca di Nablus.

Da dove provenivano questi libri? Alcuni di loro, per lo più opere classiche della letteratura araba, risalivano all’epoca in cui queste prigioni erano sotto il controllo dei giordani, prima del 1967. Altri libri, tra cui alcune opere di propaganda sionista, furono aggiunti dagli israeliani stessi. Alcuni poterono donarli i parenti dei prigionieri e altri ancora li portava in regalo la Croce Rossa Internazionale, scelti dai prigionieri stessi tra una lista di libri permessi dalle autorità carcerarie.

Ora la maggior parte di loro sono libri usati, sdruciti, pieni di pieghette e di annotazioni. Sono libri vissuti, sudati, impregnati delle pene della prigionia, ma anche delle speranze di chi alla prigionia non cede e di chi ricerca la sua libertà nella lettura.

Un signore anziano dal viso simpatico e la voce calma e misurata ci racconta degli anni trascorsi in prigione da giovane e dell’importanza delle letture e dello studio. Il suo discorso saggio rivolto a noi nuove generazioni mi ricorda molto nel tono e nello stile quello di certi partigiani nelle ricorrenze storiche o alle feste dell’Unità. Ci spiega con fervore come grazie a questi libri i prigionieri potessero entrare in contatto con le ideologie e le correnti progressiste e rivoluzionarie della loro epoca, per formarsi quindi gradualmente una vera coscienza politica. Gli luccicano gli occhi nel raccontarci la sua scoperta del marxismo-leninismo durante le sue letture penitenziarie.


Ma non di sola politica può vivere l’uomo. E infatti ci dice:- Altre volte leggevo dei romanzi – ricordo ad esempio al-Qahira al-Jadida di Naguib Mahfouz* – e mi immedesimavo nella vita del suo protagonista. E seguendo le sue vicende e i diversi eventi della sua vita, sentivo quasi di essere al suo posto, mi immaginavo un’altra vita al di fuori della monotonia della prigione, provavo i suoi stessi sentimenti e le sue emozioni, e il mio pensiero volava via, libero, al di fuori delle mura.

Ci guarda con occhi limpidi, fermi e convinti, e continua: – Chiaramente quando uno è in prigione non può smettere di pensare e di sognare alla sua libertà. Ma uno deve anche chiedersi che tipo di libertà vuole avere. Ha senso uscire di prigione esattamente uguali al giorno in cui ci si è entrati? O non è forse più sensato cercare di migliorarsi, di prepararsi, per potersi riunire alla società diversi e migliori di prima? E solo attraverso alla lettura, un uomo in prigione può maturare, sviluppare il proprio pensiero, e crescere come persona.

Me ne vado quasi con le lacrime agli occhi, emozionato e colpito nel profondo dalle sue parole.

*Famosissimo scrittore egiziano, vincitore di un premio Nobel per la Letteratura.

Quattro appunti

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