"La ragazza ha volato": Wilma Labate gira un dramma freddo come il vento di Trieste

FacebookTwitterLinkedInWhatsAppEmail

La ragazza ha volato di Wilma Labate (Italia, Slovenia, 2021, 93′, disponibile in streaming su Biennale Channel fino all’8 settembre) è un dramma che brucia come ghiaccio – proprio un ghiacciolo è il pretesto che fa avviare la narrazione –, tagliente come il vento che sferza le strade di Trieste, la città in cui è ambientato. Il film, presentato a Venezia 78 nella sezione Orizzonti Extra, colpisce per l’estrema asciuttezza formale della sceneggiatura co-firmata dalla regista e dai fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo, astri nascenti del nuovo cinema italiano specializzati, nei loro lavori dietro la macchina da presa, nel racconto di infanzie e adolescenze devianti cresciute nell’alienazione delle periferie romane.

Qui il racconto si fa più scarno, essenziale, crudo forse all’eccesso, ad esempio nel personaggio interpretato da Luka Zunic, forse eccessivamente “funzionale” al racconto e privo di profondità. Sicuramente più complesso e sfaccettato il personaggio della protagonista Nadia, interpretata dalla brava Alma Noce, una sedicenne a cui «stanno sul cazzo tutti» (cit.) che frequenta senza troppa convinzione l’istituto alberghiero della città e vive in un condominio come tanti con una famiglia in cui il silenzio che domina i rapporti personali è la traduzione sonora di un fascio di tensioni sotterranee e di non detti.

La violenza sessuale subita da Nadia, ancor più tremenda per la banalità con cui matura e per il modo in cui è mostrata sullo schermo senza ellissi, è il turning point della vicenda, e avviene ad avvio del film. Il tempo restante è il racconto del lento dipanarsi delle conseguenze di quel trauma, che porta Nadia a maturare alcune scelte e a prendere in mano la propria vita. Senza spendere fiato in parole, ma attraverso gesti e sguardi risoluti.

La ragazza ha volato è una coming-of-age story sui generis, in cui la maturazione della protagonista sembra avvenire tutta nella sua interiorità, in una solitudine che resta tale ma da gabbia si trasforma in spazio di autonomia e di affermazione di sé e del proprio desiderio. Un dramma che senza retorica mette in scena una giovane vita cresciuta in un quartiere italiano come tanti, come esplicitato nelle belle carrellate gemelle, che aprono e chiudono il film, dove la macchina da presa ci fa volare tra le finestre delle case triestine, ciascuna delle quali rivela uno squarcio di quotidianità da cui, potenzialmente, si potrebbero ricavare altrettanti film.

Giulio Todescan

Foto tratta dal sito http://www.labiennale.org

Ti potrebbe interessare