Lavoro e integrazione, ecco cosa chiedono i rifugiati

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Un’indagine qualitativa sul percorso e sulle aspettative dei rifugiati e dei richiedenti asilo che arrivano in Italia, dai Cara (Centri accoglienza richiedenti asilo) all’inserimento nel contesto socio-economico. Tra le maggiori esigenze manifestate, un’assistenza temporale finalizzata all’inserimento nel contesto d’arrivo, il lavoro e la casa soprattutto per le donne, la necessità di essere ascoltati, l’impossibilità di tornare nel proprio paese di origine. Inoltre, cambia lo scenario legislativo, con l’aumento dei tempi di permanenza nelle strutture detentive e con l’introduzione del carattere “aperto” dei Cara, in cui la possibilità di uscita non è più affidata alla discrezionalità delle singole prefetture.

Sono alcuni dei principali risultati del progetto di ricerca “Richiedenti asilo e rifugiati. Dai Cara all’inserimento nel contesto socio – economico italiano. Il caso della Caritas di Cagliari”, realizzato da Laura Tronu e Maria Carmela Zedda, nell’ambito del programma di finanziamento voluto nel 2008 dalla Regione Sardegna per i giovani, attraverso il bando sulla “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna – Attività di ricerca nell’ambito del Bando Borse Giovani Ricercatori”, inserito nel Programma operativo FSE Sardegna 2007-2013, di cui alla legge regionale 7 agosto 2007, n. 7.

Una ricerca di tipo qualitativo, portata avanti grazie alla collaborazione con la Caritas di Cagliari, che prende in esame, in particolare, i Cara di Salinagrande (Tp), Gradisca d’Isonzo (Go) e Cpsa di Elmas. Tra i principali ambiti analizzati, anche la struttura e l’identificazione di modelli e percorsi d’inserimento presenti in Sardegna a favore dei rifugiati, con particolare riferimento all’azione portata avanti dalla Caritas Diocesana di Cagliari negli ultimi anni.

“Questo momento di studio – sottolinea Don Marco Lai, direttore della Caritas di Cagliari – rappresenta un’opportunità per conoscere, sensibilizzare la Chiesa e l’intera società civile sul mondo che ci viene in casa e su quale tipo di accoglienza vogliamo offrire. È fondamentale che questo lavoro possa costituire un laboratorio positivo capace di offrire buone prassi per altri contesti, dove le conflittualità sono talvolta esasperate”

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