Le amministrative in Romania: trionfa il centrosinistra. Dalla politica ai clan tribali

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Le elezioni amministrative di ieri hanno consacrato la vittoria schiacciante della coalizione social-liberale (USL) in Romania. Nella stampa occidentale si parla molto della crisi greca e dei sacrifici per rimanere nella eurozona, ma niente si sa dei sacrifici dei romeni, dei bulgari oppure degli ungheresi. Il governo di centro-destra del premier Emil Boc, dopo aver ridotto del 25% gli stipendi degli statali, è crollato sotto le pressioni della piazza. Nemmeno il governo tecnico guidato da Mihai Razvan Ungureanu non ha reso il peso della crisi, gettando la spugna dopo meno di due mesi. Il presidente Basescu si è visto obbligato a consegnare il governo del paese nelle mani della coalizione social-liberale, i suoi avversari politici. Ricordo che in Romania vige un sistema semi-presidenziale di tipo francese, dove il  presidente della Repubblica è un attore politico importante.

Le elezioni amministrative sono state il test decisivo in vista delle elezioni politiche programmante fra meno di sei mesi. Un test disastroso per il centro-destra (PDL), così come ha riconosciuto oggi proprio il presidente Basescu, segnato di un consenso che appena supera un misero 17%, di fronte al 50% raggiunto dai social-liberali. L’unico premio di consolazione concesso al centro-destra è la capitale della Transilvania, Cluj-Napoca, dove l’ex premier Boc è riuscito malapena ha strappare la vittoria al suo rivale. A Bucarest la disfatta del centro-destra è totale, perdendo persino i due seggi da sindaco di settore (simili agli arrondissement parigini) che deteneva fino ad ieri, oltre alla battaglia per il posto di sindaco generale della capitale, vinta dal uscente Sorin Oprescu. Un dato interessante lo costituisce il fatto che il centro-sinistra fa fatica ad afermarsi in Transilvania. Su 16 province solo quattro sono state conquistate dalla aleanza social-liberale, confermando una tradizione ventennale di sopremazia del centro-destra. Questo in contrasto con le altre regioni (Moldavia, Valacchia) dove praticamente solo 7 su 25 province hanno resistito all’assalto del UsL

Qui finisce però l’analisi oggettiva della situazione creata dopo le elezioni, così come potrebbe essere vista da un osservatore neutrale e magari poco abituato a vedere nelle acque torbidi della politica romena. La vera notizia è che la lotta politica a Bucarest ha cominciato ad avere le caratteristiche di una guerra tra i clan, per dividersi le aree di influenza. La fiducia nei politici è ai minimi storici. La crisi economica è fortissima, anche perché la valvola della disperazione, costituita dall’emigrazione verso Ovest, si è chiusa in seguito alla crisi. Purtroppo nemmeno la coalizione social-liberale non offre alternative reali al paese ormai stremato. Il PDL del presidente Basescu  e il PSD sono gli eredi dello stesso partito guidato negli anni ’90 da Ion Iliescu. Sia uno che l’altro sono stati colpiti da forti scandali di corruzione; tutti e due hanno governato il paese con pessimi risultati; in più i rancori personali sono ancora forti. Nemmeno i liberali non vantano una buona carta da visita. Il governo guidato dal liberale Tariceanu tra 2004 e 2008 è stato nella media di mediocrità dei governi romeni. Nonostante un periodo di boom economico, Tariceanu non è riuscito a dare risposte ai grandi problemi nazionali: infrastrutture, lavoro, riforma delle istituzioni, modernizzazione dell’economia. Persino UDMR, il partito della minoranza magiara della Transilvania, fatica a tenersi fuori dalla lotta tribale. Incontestato  rappresentante degli interessi ungheresi fino adesso e perennemente al potere grazie al suo 7%, l’UDMR (Unione democratica dei magiari della Romania) si è vista sfidata sul terreno delle rivendicazioni nazionalistiche dal Partito Popolare Magiaro. Creatura del irredentismo magiaro in Transilvania, quest’ ultimo contesta alla leadership magiara i toni moderati della lotta per l’autonomia su basi etniche delle province Harghita e Covasna, ad ampia maggioranza ungherese.

Di certo, i partiti lasceranno ancora un’altra volta in secondo piano i veri problemi del paese per impegnarsi nella lotta elettorale che devono affrontare a novembre. E lo faranno a colpi di promesse demagogiche. Ma in tempi di crisi, l’economia del paese riuscirà a sopportare un altro rinvio delle riforme necessarie?

Teodor Amarandei

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