L’esercito elettronico nel cyberspazio #Syria

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Cyberdissidenti di due collettivi di hacker stanno combattendo una guerra in rete. Hacktivists dei movimenti Anonymous e Telecomix, in modi diversi, fronteggiano l’esercito del Syrian Elecrtonic Army. Un collettivo filo governativo di Assad che ha rivendicato centinaia di cyber-attacchi, dalla semplice interruzione del servizio  DDoS (distributed denial-of-service) a vere e proprie intrusioni nelle homepage (defacement), che viene sostituita online da messaggi di solidarietà al governo di Damasco. Un esercito virtuale per reprimere le rivoluzioni in Internet.

Infowar monitor

Uno dei soldati dell’esercito siriano @syriansoldier1 – secondo il suo profilo – ha duemila followers su twitter. «La battaglia, che già a giugno 2011 annoverava 995 siti ‘defacciati’, continua senza soste. Le prove sono state riassunte in due studi dettagliati del sito Infowar-monitor.net e, in particolare, dal ricercatore del Citizen Lab della Munk School of Global Affairs dell’Università di Toronto, Helmi Noman», scrive Fabio Chiusi per il Festival Internazionale del giornalismo. Sono stati attaccati – a partire dallo scorso novembre – il sito del Parlamento europeo, della Casa Bianca, dei presidenti Sarkozy e Obama, di Human Rights Watch. Il sito dell’università di Harvard e il network televisivo Al AJzeera e Al Arabyia. Il dominio del sito del Syrian electronic army è stato registrato, a maggio del 2011, tramite una «connessione con la Syrian Computer Society (SCS), che era diretta negli anni ’90 dall’attuale presidente siriano, Bashar Al-Assad – spiega Helmi Noman – La Siria è diventato il primo Paese arabo ad avere un esercito pubblico su Internet, hostato sui suoi network nazionali, per lanciare apertamente cyber-attacchi ai propri nemici».

Hack movement

Il collettivo di Anonymous – di recente riusciti a entrare nel sito della Cia – aveva sferrato una controffensiva in Syria, oscurando il sito del ministero degli interni, lo scorso agosto, a seguito anche delle incursioni del Syrian electronic army (Sea). L’ultima azione di Anonymous con Operation Syria @Op_Syria è stata quella di entrare dentro 78 caselle mail dell’ufficio comunicazioni di Assad, rivelando il contenuto e pubblicandolo in rete. Gli hacker hanno scoperto anche che una delle password era la stringa di numeri: 12345. La chiave di accesso era collegata anche all’account di Mansour Fadlallah Azzam, ministro degli Affari presidenziali e Bouthaina Shaaban, ufficio stampa di Assad. Un scoop per il quotidiano Haretz, che ha pubblicato il contenuto delle conversazioni. I gruppi di hacker di Anonymous in rete sono in collegamento con un altro movimento: Telecomix che si occupa soprattutto di riuscire a fare breccia e infiltrarsi nella rete @TelecomixSyria. Christopher Kullenberg, del collettivo Telecomix coordina le risposte degli hacker all’esercito elettronico siriano. «Di giorno questo ragazzo prepara un dottorato di ricerca in teoria delle scienze all’università di Göteborg, di notte si trasforma in militante informatico fa parte di un collettivo di hacker e di attivisti sparsi per tutta Europa noti con il nome di Telecomix» scrive Claes Lönegård su Fokus nell’articolo tradotto da Presseurop. Telecomix in Siria – con software specifici di analisi della rete come Nmap (Network Mapping) – ha individuato 700mila collegamenti in rete  alla ricerca di una falla nelle connessioni. «Gli hacker hanno rubato password, spiato dalle webcam le strade e perfino le scrivanie dei capi della repressione di Stato, fino a “pizzicare” 5mila router domestici senza protezione” racconta Mario Braconi, nell’analisi Telecomix e la sorveglianza online. «Chiunque si è collegato alla Rete da una delle 5.000 postazioni hackerate – spiega il giornalista – al posto della home page ha visto una pagina bianca con un curioso simbolo (una omega nel quale è inscritta una stella, sopra un triangolo circondato da fulmini) contenente il messaggio: “questa temporanea interruzione del servizio internet è deliberata. Vi preghiamo di leggere attentamente e di diffondere il seguente messaggio: il vostro traffico internet è monitorato.” Seguiva un manuale che spiegava agli utenti come dotarsi di software gratuito di criptaggio (Tor o TrueCrypt) al fine di eludere sorveglianza e/o la censura di stato”».

Revolution 2.0

@telecomix

Il Syrian electronic army è apparso in seguito alle rivoluzioni della Primavera Araba. Un gruppo di soldati-hacker, mercenari della rete, che combattono contro la diffusione di file, documentazione, video e fotografie che testimoniano quello che sta accadendo durante le repressioni dei regimi. La propagazione delle testimonianze, attraverso i social media e i blog, è fondamentale anche per i media del mainstream per potere seguire in diretta – confrontando con fonti, reporter, agenzie – i frammenti di informazioni che arrivano dai territorio di conflitto. Il coordinamento in rete dei movimenti è inoltre una regia che può salvare la vita a migliaia di persone. Lo fa Andy Carvin @acarvin per NPR radio che passa notti insonni a visionare le immagini dei filmati che arrivano dalla Siria per diffonderle, attraverso i sui tweet, in tutto il mondo. La stessa cosa fa Marina Petrillo @alaskaRp, giornalista italiana, di Radio polare, davanti a un desk virtuale, rilancia le notizie delle proteste, avverte dove ci sono gli scontri, coordina i freelance al Cairo che le chiedono informazioni. Uno «tsunami digitale» come lo chiama Wael Ghonim, classe 1980, ex executive di Google e ideatore della pagina facebook We Are All Khaled Said che «con i flashmob silenziosi dell’estate 2010 sul lungomare di Alessandria d’Egitto – spiega Marina Petrillo – mise in moto la complessa organizzazione anonima (o, come lo chiama Ghonim nel suo libro, lo tsunami digitale)». «Il potere delle persone è più grande delle persone al potere» scrive Ghoni nel suo libro autobiografico Revolution 2.0. E’ proprio questa rivoluzione digitale in movimento che vuole contrastare l’esercito elettronico siriano. Per decisione di un governo e delle forze armate, era accaduto che un intero paese era rimasto isolato dal mondo, senza Internet e altre forme di comunicazioni, permettendo che si compisse un atroce massacro. Attraverso il blackout della rete.

Il golpe di Internet

Era il 28 gennaio di un anno fa, piazza Tahrir, al Cairo in Egitto. C’è stato il primo golpe di Internet. «Un anno fa eravamo seduti ai computer, seguivano la diretta dal Cairo e da Alessandria, via Twitter, Facebook e altri social media, poi improvvisamente tutta la rete si era bloccata» racconta  Christopher Kullenberg di Telecomix, nell’intervista di Aurora D’Aprile durante la trasmissione Alaska su Radiopopolare. «Non avevamo capito subito cosa stava accadendo, stavamo parlando in tempo reale con degli attivisti egiziani e si sono disconnessi di colpo. Per molte ore abbiamo analizzato la rete in Egitto per capire l’origine del danno – prosegue il cyberattivista – Dopo un po’ sono stati diffusi comunicati in cui si diceva che la rete era stata bloccata da Mubarak. A quel punto ci siamo fatti venire delle idee per ristabilire della connessioni attraverso dei ponti modem. Vecchi modem, che usavano le linee telefoniche analogiche, che ancora funzionavano in Egitto. Abbiamo contattato diversi internet provider con server in Germania, Svezia e Francia (provider French Data Network ndr) chiedendogli di riattivare le loro vecchie linee di modem che risalgono agli anni 90. Anche a casa abbiamo riconfigurato dei modem per le vecchie linee. Il sistema non poteva essere usato da molte persone. E’ un tipo di connessione molto lenta e costosa. Era però l’unico modo per far comunicare piccola parte della popolazione. Lo abbiamo fatto alla cieca, per proteggere le persone in modo che non venissero intercettate le loro telefonate. Non abbiamo mai fornito informazioni o ne abbiamo raccolte e nemmeno vogliamo sapere chi ha usato le linee. Noi abbiamo fornito le infrastrutture, non abbiamo nulla di cui preoccuparci».

“A Telecomix siamo semplici attivisti, può capitare che non mangiamo e non dormiamo molto. Ma abbiamo una vita normale, noi siamo seduti nelle nostre case in Europa, con molti comfort, mentre la fuori c’è gente che sta rischiando la vita per le strade. Non c’è paragone”. La cronaca di quello che accade in Siria è raccolta nella pagina su Storify di Ahmed al Omran @ahmed social media analist a NPR radio. Live twet Uprising of Syria.

Martino Galliolo

expost24.com

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