Quando la morte è dietro l’angolo: sangue italiano in Afghanistan

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28 luglio 2010 ore 23.30

Dopo una giornata di lavoro….un po’ di tranquillità: eccomi qui a scrivere…Negli ultimi giorni, l’ho fatto meno, trascorro parecchio tempo, rifletto su  quello che l’autobomba del 16 luglio ci ha lasciato e mi sono immerso nel lavoro, sto prendendo a pieno ritmo la quotidianità e divento pian piano più “padrone” delle mie attività, trascorro però gran parte delle giornate lavorative in un ufficio: non è il massimo ma tuttavia me lo faccio andar bene. Il mio ruolo qui è da “dietro le quinte” e mi occupo sostanzialmente di logistica.

Avrei preferito vivere questa esperienza più da “protagonista”, stando più in prima fila, uscire con i “Lince”, fare pattugliamenti, conoscere di persona i paesaggi, gli scenari, la gente e scoprire personalmente  le realtà, fare, insomma, qualcosa di più utile e ancora più vicina a questa guerra. Sto scoprendo comunque, che anche da “dietro le quinte”, a volte si possono avere, pur meno intensamente, possibilità di vivere momenti in qualche modo anche coinvolgenti. Stasera, dopo cena, uscendo dalla mensa, attraversavo il piazzale centrale di “Camp Arena”: di solito nelle ore serali e soprattutto durante l’ora di cena, col buio, a mala pena si riescono ad intravedere le ombre di chi passeggia e si sposta dai locali della mensa fino ad arrivare al bar, per un caffè, un digestivo dopo-cena e una chiacchiera, fuori dalle proprie attività o di chi semplicemente fa due passi per godersi il fresco serale estivo, prima di fare una telefonata a casa o salutare i propri cari con “skype”.

Sono rimasto a passeggiare per il piazzale, a fissare per un po’ il cielo. C’era qualcosa di strano nell’aria, oltre ad esserci tante  stelle (molto spesso ce ne sono di notte qui in Afghanistan e il cielo serale è diverso da quello che vediamo in Italia), c’era una luna splendente, tanto da illuminare quasi tutto il piazzale. Quando in queste sere estive la luna splende così, i suoi raggi sono talmente luminosi, che assomigliano alla luce dei lampioni serali delle città: mi piace guardare la luna sopratutto in queste serate e spesso “fantastico” cercando invano tra le stelle l’Orsa Minore, il Carro, la Via Lattea….: i cieli “asiatici” creano spesso delle atmosfere magiche!


Restavo fermo al centro del piazzale, con lo sguardo rivolto verso l’alto, mentre intorno a me sentivo i passi della gente… Ad un tratto e in lontananza, un rumore, poi una luce che ad intermittenza spostava la sua direzione, poi il rumore aumentava…le luci son diventate due e sembravano spostarsi sempre di più verso di me e sempre più verso il basso…. “Che ci fanno a quest’ora due elicotteri in volo e ad una quota così bassa?” – mi sono chiesto. “…Sarà probabilmente un giro di perlustrazione, qui fuori sarà successo qualcosa…”. Sono riuscito a sentire queste parole tra il rumore dell’elicottero che in quel momento passava proprio sopra di me: è stata la risposta “inconscia” di una voce poco distante da me, la voce di qualcuno che nel buio non ho riconosciuto, ma che dalle ombre ho attribuito ad una persona che chiacchierava con un’altra: anche loro sono rimasti attratti dal passaggio dei due aeromobili.

Le loro parole mi hanno portato a concentrare di più l’attenzione sui due apparecchi: con lo sguardo ho accompagnato le luci, finché poi sono scomparse. Un po’ esterrefatto, ho ascoltato i commenti di chi era presente con me, ma anche gli altri non mi hanno dato nessuna risposta su quello che al di là del recinto e chissà in quale parte di Herat, poteva essere successo: “Quando in orari “strani” si vedono decollare aerei o elicotteri, vuol dire che qualcosa di serio fuori e da qualche parte sia successo” ci hanno insegnato durante i briefing iniziali. Confuso e sorpreso, sono tornato in camera. Dagli alloggi in pochi istanti, notizie poco chiare e allo stesso tempo che spiegavano quello che poco prima avevo avvistato, si sono diffuse: un’esplosione di un ordigno pochi chilometri fuori l’aeroporto, e che noi che eravamo dentro non abbiamo sentito, ha coinvolto alcuni uomini del nostro contingente! Queste le prime voci.

I minuti trascorrevano e le stesse “voci” frammentarie pian piano diventavano più vere e più precise: erano elicotteri partiti in soccorso a seguito di attacchi, avvenuti precedentemente contro alcuni nostri uomini. In camera ho acceso il computer, su internet alla pagina web dell’Ansa, già venivano riportate le prime notizie ufficiali: “Afghanistan: esplosione di un ordigno, nei pressi di Herat, morti due militari italiani.” Leggendo l’articolo, ho subito appreso che due nostri colleghi, pochi chilometri fuori la città di Herat, durante il disinnesco di alcuni ordigni, sono stati colpiti dall’esplosione di uno di essi e sono morti…Per cercare conferma più precisa sono uscito fuori dall’alloggio, ho notato movimenti celeri e rapidi di uomini, mezzi che si spostavano, gente che parlava in maniera “fugace” e silenziosa: due dei nostri sono morti questa sera! Ho pensato immediatamente a mio figlio e mia moglie, il primo pensiero è volato subito a loro, qualche collega l’ho visto anche piangere e la notizia, ormai ampiamente confermata, si è diffusa su tutta “Camp Arena”. Alcuni miei colleghi hanno telefonato a casa per tranquillizzare, altri hanno “portato” altre notizie più precise: oltre ai due militari morti, un terzo è rimasto ferito. “A pochi giorni dal mio arrivo vivere in prima persona un evento così forte, non è il massimo.” – ho pensato. Sono rimasto fuori per un po’, il mio sguardo perso ad osservare lo scenario che si presentava di fronte ai miei occhi, è stato improvvisamente colpito da due o forse tre ragazzi che poco lontani da me, trafficando all’interno di un container, hanno tirato fuori due lunghe casse di legno (bare), che poi, dopo averle caricate su di un camion, sono andati via…

Alla vista delle due bare, sono stato male, ho avuto la pelle d’oca su quasi tutto il corpo e il sangue mi si è gelato…“Ora li vanno a prendere e li portano dentro….”, sono state le parole che mi ha rivolto un altro militare che in quel momento passava davanti a me. Non ho avuto il coraggio di dire nulla, “pietrificato” sono ritornato definitivamente in camera e ho iniziato a scrivere…. “Camp Arena” in poco tempo si è spento in un silenzio, un silenzio gelido che ha lasciato noi tutti impotenti davanti ad una situazione simile. Ho pensato alle famiglie di questi due ragazzi, ho pensato alla mia famiglia, ho pensato ai tanti militari che sono qui in un Paese con una situazione molto difficile da gestire, ho pensato ai soldati che sono morti prima d’oggi. Con tanta angoscia ho cercato anche di addormentarmi, ma non ce l’ho fatta, con la testa volevo preparami a quello che mi sarebbe toccato di affrontare nell’indomani mattina: la tristezza del vuoto, il vuoto che queste due perdite ci avrebbe potuto lasciare.

Giovanni Quattromini

(QuattroGi)

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